31/01/11

CERIMONIA DELLA ROSA. AMORE PER MADRE E PADRE

La “Cerimonia della rosa” è stata proposta da Thich Nhat Hanh ed entratta nella tradizione di Plum Village, dopo una sua visita in Giappone.

Anche in Giappone esiste la “festa della mamma” con la particolarità che, in omaggio alla propria madre, ciascuno si appunta sul petto un fiore rosso se la mamma è ancora in vita, bianco se non lo è più.

Thay ha esteso questa cerimonia ad entrambi i genitori e come fiori ha proposto le rose, senza recidere quelle vere: i praticanti sono infatti invitati a ricorrere a rose di carta

La Cerimonia della Rosa" sarà celebrata dal Sangha di Bergamo il 12 maggio prossimo. Si inizierà con una meditazione seduta, seguiranno i "Cinque Toccare la Terra", la meditazione del The con il canestro delle rose, e la condivisione finale.

Ci si arriverà attraverso un percorso di pratica che si snoderà attraverso i Cinque Toccare la Terra e due meditazioni guidate: una sulla propria mano (Meditazione del Palmo) nella quale riconoscere la mano dei propri genitori ed una meditazione sui propri genitori visti come bambini indifesi di 5 anni.

I due praticanti anagraficamente più giovani offriranno le rose ad ogni componente del Sangha. Ogni praticante si alzerà e si muoverà verso di loro; i due giovani chiederanno sotto voce di quali rose ha bisogno, le appunteranno a lui/lei come omaggio (molto diverso dall'appuntarsi le rose da sé), il praticante si girerà verso il Sangha, se vorrà si inchinerà.
Sarà un momento di grande rispetto e gratitudine compassionevole: verso i "servitori della rosa", verso il Sangha e verso i propri genitori.

21/01/11

“Il rumore della neve: fermarsi e guardare” Campo di consapevolezza per giovani

Supponete di avere una manciata di sale e di versarla in una ciotola d’acqua, mescolando: a quel punto l’acqua contenuta nella ciotola sarà troppo salata per poterla bere. Se invece buttate la stessa manciata di sale in un fiume, questa non renderà salato il fiume e la gente potrà continuare a berne l’acqua. Quando sei soltanto una ciotola d’acqua, soffri; quando invece diventi un fiume non soffri più. (...) Ognuno di noi si deve chiedere: quant’è ampio il mio cuore? Come posso aiutare il mio cuore a diventare più grande, più spazioso ogni giorno?”( Thây, il Cuore del cosmo)


Il ritiro d'inverno di Wake Up Italia si è svolto tra le dolci colline del Mugello (Firenze), nella casa di Yana e Laura, in un'atmosfera di raccoglimento e gioiosa collaborazione.Il Consiglio del ritiro era formato da Silvia, Yana, Sara, Ilaria e Veronica (che non ha potuto partecipare al ritiro ma ci ha aiutate in fase di progettazione) che avevano lavorato nel mese di dicembre per preparare il programma e tutto era stato predisposto con cura.
Delle/dei 19 partecipanti Yana, Silvia, Sara, Mariella, Ilaria, Nicola, Vania, Lucia, Federico, Paola e Carlotta portavano ancora nel cuore la luminosa esperienza condivisa a Plum Village durante il ritiro estivo. Marianna, che era stata nello staff giovani del ritiro di Thay in primavera a Castelfusano, aveva trasmesso il suo entusiasmo a quattro nuove amiche: Valentina, Fabiana, Beatrice e Federica.
A loro si sono aggiunti Nicola di Pavia, ed Edith, del sangha di Casale Monferrato.
Si sono uniti a noi per una giornata anche Marco, il ragazzo di Yana, Jan ed Elisa.
Il ritiro, nato grazie anche alla spinta data da Thay, durante il ritiro estivo a Plum Village, verso una presa di responsabilità da parte dei/delle giovani, è stato pensato come interamente autogestito.
Il Consiglio ha pensato, così, di prendersi in carico anche la responsabilità della cucina, consentendo alle praticanti più esperte (Laura, Paola e Mariella) di essere sgravate da compiti organizzativi per poter essere più di sostegno a tutte e tutti nella pratica. A loro va un profondo ringraziamento per esserci state di supporto, sempre pronte ad intervenire quando ce n'era bisogno, ma pronte anche a non fare nulla quando eravamo in grado di cavarcela da sole.
Abbiamo scelto di adottare una dieta biologica e vegana, per dare la possibilità a tutti di imparare come sia possibile alimentarsi in maniera gustosa e nutriente, riducendo la sofferenza nel mondo.
Abbiamo cercato di fare in modo che più persone possibili si facessero coraggio nel provare a guidare alcune pratiche, come la meditazione del cibo, il risveglio del corpo o suonare la campana di inizio attività, ma anche pratiche più impegnative come il rilassamento profondo, la meditazione della musica, la facilitazione delle condivisioni. La meditazione del mattino è stata guidata da Mariella, Paola e Laura.
La prima sera, durante l'orientamento, abbiamo ascoltato una registrazione di un discorso di dharma di Sister Jina del 2004, dove viene proprio spiegato il significato, nella nostra tradizione, della pratica del “fermarsi e guardare in profondità”. Il secondo giorno abbiamo guardato il video di un insegnamento molto toccante di Thay, del marzo 2010, in cui parla di quanto si stava bene nell'utero delle nostre mamme, e poi della nostra nascita, del taglio del cordone ombelicale e della nascita della paura e del desiderio originari. Il terzo giorno abbiamo avuto la grande gioia di avere con noi Diana Petech, che ci ha offerto un meraviglioso insegnamento di dharma ed una sessione di domande e risposte, oltre ad aver condiviso con noi un'intera giornata di pratica.
Diana ci ha regalato, in particolare, due immagini molto significative, che ci hanno toccate/i nel profondo.
La prima è quella della formazione di volo degli stormi di oche selvatiche, che ci ha permesso di guardare in profondità nella natura del sangha, capendo quanto sia importante essere stormo ed allo stesso tempo suggerendoci di non avere ruoli fissi.
Ogni oca selvatica sa, per sua natura innata, dove è il sud, quale è la direzione da seguire. Nello stormo in migrazione chi è alla guida fa più fatica perché deve vincere l'attrito dell'aria, mentre le altre viaggiano sulla scia che viene prodotta dalle sue ali: perciò è importante potere essere sostituita in volo da chi ha conservato maggiori energie e così le oche selvatiche continuano a scambiarsi di posto. I più piccoli vengono messi al centro dello stormo in modo da potere essere sostenuti e accompagnati dagli adulti, mentre ogni oca anziana è assistita da un'altra oca in forze, in modo che, nel caso in cui si sentisse troppo stanca per proseguire, possono staccarsi in due dallo stormo per scendere a terra a riprendere fiato, e poi proseguire, una volta rifocillate, unendosi allo stormo successivo.
La seconda immagine suggeritaci da Diana, è la metafora della ciotola e del fiume, tratta dall'insegnamento di Thay sull'inclusività: “Quando sei una ciotola d'acqua soffri, se invece diventi un fiume non soffri più” (Il cuore del cosmo, pag. 225) e ci è stata preziosa per affrontare alcuni momenti molto intensi, in cui veniva espresso un profondo dolore.
Un'altra attività proposta una sera, è stata quella di scrivere su un foglietto di carta un qualcosa di sé, della propria vita, dell'anno appena trascorso, che ci ha fatto soffrire e che ci piacerebbe trasformare nell'anno nuovo. Una volta condiviso abbiamo abbiamo bruciato il bigliettino nel fuoco, e poi, una/o alla volta, ci siamo traferite/i in un'altra stanza, dove Mariella ha guidato un laboratorio espressivo con il colore, e dove abbiamo potuto dipingere con colori accesi quello che avevamo nel cuore.
È stato molto bello poter toccare con mano come, nel corso delle giornate, si sia alimentata e sia cresciuta l'intelligenza e la saggezza del nostro giovane sangha. Abbiamo visto arrivare le risposte ad alcune domande, risposte che non sono state calate dall'alto, ma sono emerse dalla pratica collettiva. Abbiamo sentito profondamente l'importanza della pratica personale di ognuna e ognuno nel sostenere e nutrire l'energia del sangha. Ci siamo sentite/i profondamente umane/i nelle difficoltà che sono emerse, e abbiamo coltivato la capacità di accogliere ogni cosa sentendo la bellezza che sta nel potersi dare la possibilità anche di sbagliare, e la fortuna che sta nell'avere gli strumenti per trasformare la sofferenza e il fango in meravigliosi fiori di loto.

Alla fine del ritiro, con grande generosità, Valentina ci ha offerto di prepararci un sito web ed abbiamo accolto con gioia la proposta, a cui il gruppo di Roma sta già lavorando.
Inoltre, poco dopo la fine del ritiro, è arrivata la proposta da parte di un'aspirante Thiep Hiehn, di aiutare nella formazione di un sangha giovani a Pavia.
Si è costituito, inoltre, il Consiglio per l'organizzazione del ritiro di primavera che vedrà la presenza di alcuni/e monaci/che di Plum Village, che sarà formato da: Marianna, Paola, Silvia, Ilaria, Sara (con il sostegno anche di Vania e – forse – Veronica).
Ci siamo lasciate con la rinnovata intenzione di dirigerci verso questo nuovo ritiro in primavera avendo cura dell'armonia del sangha.

Silvia, Yana, Ilaria, Sara

IL VERO AMORE. DISCORSO DI DHARMA DI THAY. PLUM VILLAGE, GIUGNO 2009

I giovani adulti e gli adolescenti oggi vogliono che io parli dell’amore vero, l’amore che nutre, che trasforma, che procura gioia e felicità.L’amore è una cosa possibile, ma bisogna sapere come coltivarlo. L’amore è una cosa sacra, il desiderio sessuale non è l’amore, è un’altra cosa.

L'essere umano è fatto di corpo e mente e l’amore dovrebbe essere visto e compreso alla luce di questo “psico-soma” mente e corpo assieme.
Nel Buddhismo si parla dell’unità del corpo e della mente: quando respiriamo in consapevolezza, portiamo la mente nel corpo e quando corpo e mente sono assieme si è veramente là e la vita vera è possibile.
Così la mente dovrà essere sempre col corpo, il corpo con la mente e l’amore comincia con l’osservazione del proprio corpo e della propria mente. Non c’è bisogno di una seconda persona per cominciare ad amare perché amare è portare gioia, benessere, felicità e dobbiamo sapere come portare la gioia, il benessere, la felicità a noi stessi.
Abbiamo della sofferenza nel nostro corpo e nella mente, allora l’amore è necessario subito, anche se l’altra persona non si è ancora manifestata.

C’è della tensione nel corpo, c’è del dolore, dello stress e si può fare qualcosa per lasciare andare questa tensione, questo dolore che continua ad essere accumulato nel corpo. Bisogna trattare il nostro corpo con molta tenerezza, con molta comprensione e amore, non maltrattarlo. Allora amare è ritornare al proprio corpo e fare qualcosa per riconciliarsi con esso.
La pratica della respirazione consapevole, la pratica del rilassamento profondo e totale per rilassare la tensione nel corpo, sono già l’atto d’amore.

Bisogna ritornare a se stessi con il rilassamento, la pace e l’armonia nel corpo e il Buddha ci ha insegnato dei metodi per farlo. Nel Sutra sulla piena consapevolezza del respiro, ci ha guidato a fare dei passi in questa direzione per portare, attraverso la respirazione, pace, armonia, distensione nel corpo, nelle sensazioni e nelle emozioni. La sofferenza non è soltanto nel corpo, ma anche nelle sensazioni e nelle emozioni. Ci sono delle sensazioni spiacevoli, dolorose, ci sono delle emozioni forti che ci fanno soffrire; allora facciamo qualcosa al fine di poter accogliere queste sensazioni ed emozioni per trovare sollievo. Il Buddha ci ha indicato come fare: nel Sutra sulla piena consapevolezza del respiro ci guida passo per passo per farlo. Per lasciare andare la tensione e calmare il dolore nel corpo, possiamo cominciare a riconoscere le nostre sensazioni, le nostre emozioni, al fine di poterle abbracciare con tenerezza e portarvi sollievo. Studiare il Sutra sulla piena consapevolezza del respiro e praticare: questo è l’amore!
C’è della sofferenza nel corpo, nell’anima, nella nostra mente, nella nostra coscienza. Ci sono dei blocchi di sofferenza che sono lì da tanto tempo, sofferenza trasmessa dai nostri genitori e antenati i quali non l’hanno trasformata e per questo l’hanno trasmessa a noi. C’è anche della sofferenza che abbiamo accumulato durante la nostra vita. Dunque, c’è da riconoscere questa sofferenza, c’è da vedere come trasformarla in noi per non trasmetterla alla generazione futura. Questo è esattamente l’oggetto del nostro amore e voi sapete che potete già cominciare a coltivare l’amore anche se l’altra persona non si è ancora manifestata. L’amore comincia con se stessi, è sempre vero ed è una cosa possibile se la comprensione è presente. Bisogna comprendersi per potersi amare, essere lì con se stessi per poter amare, perché la comprensione è alla base dell’amore. Ma comprendere che cosa?
Alla luce dell’insegnamento buddhista, la comprensione è prima di tutto la comprensione della sofferenza. C’è della sofferenza nel corpo, c’è della sofferenza nella mente: bisogna riconoscere questa sofferenza, bisogna comprendere la sua natura, bisogna investigare per poter trovare le sue radici profonde e capire come è stata accumulata. Questa comprensione ci dà un’idea chiara di come noi possiamo trasformare la sofferenza.
Si può apprendere molto dalla sofferenza, si può sempre comprendere qualcosa per trasformarla in gioia, felicità, amore. E quando uno è capace di praticare così, l’amore viene dal suo cuore, dalla sua mente ed è abitato dall’amore come una lampadina lo è dalla luce. Se c’è della luce dentro, allora la lampada comincia ad irradiarla. L’amore è come il raggio di luce: è chiaro e senza discriminazione. Del nostro amore traggono beneficio tutti gli esseri viventi, non soltanto una persona, così come nella lampadina il raggio di luce è senza discriminazione; tutti, tutte le cose intorno beneficiano della luce. Non soltanto il tavolo è chiaro, ma anche la finestra e tutto ciò che c’è in quel posto. L’essenziale è che la luce sia là ed irradi. Dunque l’amore è qualcosa che si può generare in se stessi e quando l’amore esiste, ne può beneficiare tutto il mondo e non solamente una persona. La natura vera dell’amore è l’inclusività, la non discriminazione e se nell’amore c’è ancora della discriminazione, non è amore vero.

Quando una persona ama, non ci sono più frontiere: nel Buddhismo si parla di amore incommensurabile, cioè senza frontiere. I Quattro Stati Mentali Incommensurabili sono i seguenti:
MAITRIvuol dire la bontà amorevole che ha la capacità di portare felicità e amicizia. Se l’amore può portare la felicità è un amore vero e questa capacità è Maitri. Bisogna guardare per vedere se Maitri c’è nella nostra relazione. Può essere che ci sia, ma che sia ancora flebile. Che siano ancora flebili la bontà amorevole, l’amicizia, la fratellanza, la fratellanza d’amore e, in tal caso, lasciate che si rafforzi. Coltivate l’amore, poiché l’amore è qualcosa da coltivare, è una pratica, non è un regalo inviato per posta.

Il secondo elemento dell’amore vero è:
KARUNA – è la capacità di dare sollievo, di alleviare la sofferenza. Bisogna guardare se nella nostra relazione c’è questo elemento, Karuna - compassione. Karuna ha la capacità di alleviare il dolore, di trasformarlo, di toglierlo e se esiste nella nostra amicizia, nell’amore, nella nostra relazione, allora si chiama amore vero. Se l’amore non può dare sollievo, se l’amore rende le cose tristi, allora non è amore vero. L’amore dà sollievo, trasforma, toglie la sofferenza. Bisogna coltivarlo.

E poi:
MUDITA – è la gioia. Nell’amore vero vi è sempre gioia, l’amore vero porta sempre gioia a se stessi e agli altri. Se l’amore fa piangere tutti i giorni, non è Mudita. Bisogna che porti gioia. Si può parlare a se stessi e all’altra persona riguardo a questo, poiché se uno è interessato all’amore, vuole amare in modo che la gioia e la felicità siano possibili, che la trasformazione e la guarigione siano possibili, vuole l’amore vero.
E l’ultimo elemento dell’amore vero secondo il Buddha è:

UPEKSA – è l’inclusività. Non si esclude più, s’include tutto, del vostro amore traggono beneficio tutti e non solo una persona! Voi e l’oggetto del vostro amore diventate uno.
La vostra sofferenza è la sua sofferenza, la vostra felicità è la sua felicità. Non c’è più una sofferenza individuale. Non ci sono più delle frontiere fra colui che ama e colui che è amato: dunque è la non discriminazione e l’inclusività.

Questo è l’amore proposto dal Buddha, l’amore che non fa soffrire, l’amore che dà sollievo, che nutre, e questi stati possono essere sviluppati all’infinito: è per questo che si chiama l’amore senza frontiere. Potete cominciare ad amare una persona, ma se è il vero amore, questo abbraccia tutto, tutti gli esseri. Non solo gli uomini, ma anche gli animali, le piante e i minerali, ecc. E’ l’amore senza frontiere, proposto dal Buddha. E se i giovani vogliono che l’amore guarisca, porti sollievo, pace, felicità, gioia, allora devono apprendere a coltivare il metodo proposto dal Buddha.
Ho cercato di scrivere un piccolo libro su questo: ”Gli insegnamenti sull’amore” . Si può cominciare a leggerlo e ad applicarlo nella propria vita quotidiana poiché l’amore comincia sempre da se stessi.

Ho detto prima che il desiderio sessuale è un’altra cosa, ma l’amore vero non esclude l’atto sessuale. Con l’amore vero tutto l’atto sessuale diventa una cosa sacra; ma senza l’amore vero, l’atto sessuale può causare molta sofferenza. Allora bisogna fare molta attenzione.
Nella tradizione buddhista il corpo è sacro quanto la mente e se voi amate qualcuno, non rispettate soltanto la sua mente, ma anche il suo corpo. Se non c’è rispetto verso il corpo, non c’è rispetto verso la mente. Il rispetto fa parte dell’amore vero e quando si ama, si rispetta, si rispetta se stessi e l’altra persona, altrimenti l’amore muore velocemente. A Plum Village, quando si celebra un matrimonio, durante la cerimonia le due persone s’inchinano sempre l’una all’altra e fanno un “toccare la terra” profondo per esprimere il loro rispetto, perché senza il rispetto, l’amore non può sopravvivere. Bisogna rispettare l’altra persona con la mente.
Nell’amore c’è una relazione intima. Ci sono delle zone molto profonde nella propria mente, ci sono dei luoghi sacri nella propria anima, ci sono delle cose che non si vogliono condividere con tutti, che si vogliono tenere segrete, per se stessi; dei sentimenti molto profondi, delle memorie molto profonde e ciascuno di noi vuole lasciarle solo per se stesso e non vuole parlarne a tutti. Solo quando si trova una persona che ha questa capacità di comprenderci profondamente, allora si apre il proprio cuore e si invita questa persona ad entrare a visitare le proprie zone sacre, non è così? E’ una comunione, è una comunicazione profonda e questo arriva solo con l’amore vero. L’altra persona ha questo potere di comprendere profondamente e per questo la lascio entrare nel mio reame e sono pronto a condividere con lui, con lei, tutto quello che è nascosto in me: è solamente in questa situazione che il corpo può essere condiviso con l’atto sessuale. Ci sono delle zone sacre nel nostro corpo, delle zone che le altre persone non hanno il diritto di toccare, alle quali non hanno accesso. E’ come la città Imperiale nella capitale Pechino: ci sono delle zone proibite. Se voi foste entrati in quelle zone, sareste stati decapitati. La città proibita era la zona dell’imperatore e voi non sareste stati autorizzati ad entrare. Se qualcuno entrava in quelle zone veniva punito. Anche nel nostro corpo ci sono delle zone proibite, non si ha diritto di accesso. Eccetto una persona,la persona che noi comprendiamo a fondo. Allora l’atto sessuale non può essere possibile senza questo permesso. E’ riservato solo alla persona selezionata, che ha dimostrato di essere capace di comprenderci a fondo, di condividere la sua vita con noi. Penso che questo faccia parte della cultura antica, non solamente in Oriente, ma anche qui in Occidente, e noi l’abbiamo perduto.Bisogna avere rispetto del corpo, non solamente della mente. Ci sono delle zone proibite nel corpo come nello spirito e l’accesso si dà solamente a colui o colei che è autorizzato. E vorrei che i giovani discutessero un po’ su questo. E’ una cosa molto antica, tuttavia ci sono delle cose importanti nella nostra tradizione spirituale, occidentale come orientale. Bisogna preservare delle cose così buone, cose magnifiche come queste, per la nostra felicità e quella delle generazioni future.

Il rispetto dell’altra persona e del proprio corpo fa parte integrante dell’amore vero. Bisogna ripristinare questa cosa, è cultura autentica. Se soffriamo molto è perché non abbiamo osservato questo e abbiamo perduto questa tradizione preziosa.
Potete parlare di questo e condividere con i vostri amici alla luce degli insegnamenti.

07/01/11

CANDIDATURA DI THICH NHAT HANH AL NOBEL PER LA PACE

January 25, 1967
The Nobel Institute
Drammesnsveien 19Oslo,

NORWAY
Gentlemen:
As the Nobel Peace Prize Laureate of 1964, I now have the pleasure of proposing to you the name of Thich Nhat Hanh for that award in 1967.
I do not personally know of anyone more worthy of the Nobel Peace Prize than this gentle Buddhist monk from Vietnam.
This would be a notably auspicious year for you to bestow your Prize on the Venerable Nhat Hanh. Here is an apostle of peace and non-violence, cruelly separated from his own people while they are oppressed by a vicious war which has grown to threaten the sanity and security of the entire world.
Because no honor is more respected than the Nobel Peace Prize, conferring the Prize on Nhat Hanh would itself be a most generous act of peace. It would remind all nations that men of good will stand ready to lead warring elements out of an abyss of hatred and destruction. It would re-awaken men to the teaching of beauty and love found in peace. It would help to revive hopes for a new order of justice and harmony.
I know Thich Nhat Hanh, and am privileged to call him my friend. Let me share with you some things I know about him. You will find in this single human being an awesome range of abilities and interests.
He is a holy man, for he is humble and devout. He is a scholar of immense intellectual capacity. The author of ten published volumes, he is also a poet of superb clarity and human compassion. His academic discipline is the Philosophy of Religion, of which he is Professor at Van Hanh, the Buddhist University he helped found in Saigon. He directs the Institute for Social Studies at this University. This amazing man also is editor of Thien My, an influential Buddhist weekly publication. And he is Director of Youth for Social Service, a Vietnamese institution which trains young people for the peaceable rehabilitation of their country.
Thich Nhat Hanh today is virtually homeless and stateless. If he were to return to Vietnam, which he passionately wishes to do, his life would be in great peril. He is the victim of a particularly brutal exile because he proposes to carry his advocacy of peace to his own people. What a tragic commentary this is on the existing situation in Vietnam and those who perpetuate it.
The history of Vietnam is filled with chapters of exploitation by outside powers and corrupted men of wealth, until even now the Vietnamese are harshly ruled, ill-fed, poorly housed, and burdened by all the hardships and terrors of modern warfare.
Thich Nhat Hanh offers a way out of this nightmare, a solution acceptable to rational leaders. He has traveled the world, counseling statesmen, religious leaders, scholars and writers, and enlisting their support. His ideas for peace, if applied, would build a monument to ecumenism, to world brotherhood, to humanity.
I respectfully recommend to you that you invest his cause with the acknowledged grandeur of the Nobel Peace Prize of 1967. Thich Nhat Hanh would bear this honor with grace and humility.
Sincerely,

Martin Luther King, Jr.

IN CAMMINO CON IL BUDDHA

DISCORSO DI DHARMA - PIAN DEL CILIEGI, RITIRO DEL 12 SETTEMBRE 2010

di Diana Petech
Buongiorno, cari amici!
– o meglio: “caro Thây, caro Sangha”,
sono molto felice che ci sia un cuscino libero in prima fila: è il posto per Thây. Mi riempie il cuore, questo; spero di parlare, sia pure per una piccola parte, con la sua voce. È un augurio che mi faccio guardando quel posto.
Come detto ieri, il soggetto di questo fine settimana di pratica è il cammino nei suoi due significati: la meditazione camminata come strumento di pratica e il percorso spirituale.

Intorno alla nascita dei Grandi Esseri si creano sempre dei miti, per sottolinearne l’eccezionalità – pensiamo per esempio alla nascita di Gesù Cristo dalla Vergine. Come ci riferisce Thây in “Camminando con il Buddha”, la tradizione racconta che il Buddha sia nato uscendo dal fianco di sua madre, e che appena nato abbia fatto sette passi (quindi sia nato già in grado di stare in piedi e di camminare), e ad ogni passo sotto ai suoi piedi sbocciasse un fiore.
Thây insiste su questa immagine, insegnandoci la meditazione camminata, proprio per dire che fin dalla nascita noi esseri umani abbiamo in noi la potenzialità di essere dei Buddha.
Noi siamo della sua stessa specie: con il nostro camminare possiamo far sbocciare fiori sotto ai nostri piedi. Questa è una bellissima immagine simbolica; andiamo a vedere a che cosa si riferisce, che cosa significa.
“In cammino con il Buddha” è il titolo di questo nostro incontro, dove “con il Buddha” significa sicuramente insieme al Maestro, ma soprattutto con la nostra mente risvegliata.
La mente si manifesta nel comportamento, altrimenti non si avrebbe nessuna percezione esterna della sua presenza, della sua attività; si concretizza e si manifesta in come ci si comporta, come ci si muove, come si entra in relazione con le altre persone e con il resto del mondo; mi viene in mente una frase di uso comune che ha un grande significato: si manifesta nel nostro modo di “muoverci attraverso la vita”. Nella meditazione camminata possiamo esercitare la nostra massima aspirazione riguardo al modo in cui ci muoviamo nella vita: da persone integre, da persone regali nella loro essenza, e allo stesso tempo che hanno l’umiltà di riconoscere il sostegno della Terra e degli altri esseri.
Ecco, “muoversi attraverso la vita”: noi stiamo qui per percorrere un sentiero; che cosa ci ha portato su questo sentiero? Un’aspirazione alla completezza, un’aspirazione a diventare esseri umani nel senso più alto della parola. In tedesco lo chiamano Mensch, cioè l’essere umano completo, nella pienezza della sua maturità (mentre il termine Mann indica semplicemente l’essere umano di sesso maschile).
È uno slancio che risale, credo, fin dall’origine dell’essere umano in quanto tale, quello che si è evoluto dai primati che sono scesi dagli alberi, che hanno cominciato a mettersi in stazione eretta, a usare le mani; e dall’uso delle mani è venuto un enorme slancio allo sviluppo del cervello, delle facoltà cognitive, delle capacità di agire sulla realtà. Quello slancio alla completezza, allo sviluppo ci ha portato fino al nostro agire di oggi, che è estremamente sottile e raffinato e purtroppo anche estremamente potente.
Dico “purtroppo” perché siamo bravissimi anche a combinare un sacco di guai – pensiamo anche solo a quel pozzo di petrolio che sta riversando tonnellate di petrolio nell’Atlantico… “Purtroppo” abbiamo sviluppato grandissime capacità di influire sulla realtà... Questa è solo una battuta: purtroppo o no, il dato di fatto è questo, la realtà è questa.

Possiamo fare un parallelo tra l’evoluzione della specie umana e la nostra personale evoluzione. Da bambini piccoli gattoniamo a quattro zampe, e in quella fase tutto “è mio” (avete presente da bambini?). Ed è una fase necessaria, sacrosanta, perché è quella in cui ci si differenzia, si comincia a capire che la mamma è “altro da sé”, e che si può entrare in relazione con questo altro, e all’inizio l’unica relazione che ci rassicura, che conosciamo, è il possesso: dire è mio.
Riportiamo questo agli adulti: all’inizio del sentiero è “mio” tutto: la mia mente, la mia realtà, o almeno quella che vorrei io; mio marito, mia moglie, mio figlio,il mio lavoro, la mia casa, tendiamo a pretendere che le cose siano adeguate al nostro desiderio di possesso e di governo. Poi gradualmente si affinano i mezzi, si affinano le capacità, e si ha una crescita graduale verso un uso più sottile dei propri poteri, delle proprie capacità, delle “mani” – intese in senso spirituale, quindi dei propri strumenti. Dai condizionamenti, dagli automatismi, dalla proliferazione mentale, ossia quel rimuginìo che ci impesta la mente, man mano che tutto ciò si riduce si passa gradualmente alla quiete, alla saggezza non discorsiva (prajña), alla Natura di Buddha.
Alla luce di questo parallelo, possiamo vedere il nostro “cammino con il Buddha” come un percorso del tutto naturale; quindi non possiamo forzarlo, non possiamo pretendere di essere risvegliati subito, né possiamo dispiacerci delle varie tappe che tocchiamo: nessuno se la prende con un bambino di un anno e mezzo se non è capace di andare in bicicletta; o se a tre anni non sa fare, che so, un tuffo elaborato con tre avvitamenti: ma poverino, è ovvio: le sue capacità in quel momento sono impegnate ancora a imparare a stare in piedi e a camminare.
Anche le nostre capacità, in ogni tappa del nostro cammino con il Buddha, sono quelle di imparare quella fase. A tutti noi secca non essere al risveglio, non esserci arrivati: “Ma come, sono sei anni che pratico (o otto o dodici) e mi ritrovo ancora in questa fase?” Succede perché guardiamo quello che abbiamo davanti e tendiamo a non guardare quello che abbiamo dietro.
La fase che sto attraversando adesso è fisiologica e naturale rispetto al percorso.
La cosa interessante è sapere che stiamo facendo un percorso; i tempi necessari e la capacità di sviluppare tutte le nostre qualità, le nostre doti, sono individuali; ognuno di noi avanza più in fretta in qualche cosa e resta più indietro in qualcos’altro. Quel che conta è sapere che c’è una direzione, in questo progresso; ma su questo vorrei tornare più tardi.

“Camminare attraverso la vita” in direzione del Buddha che è nell’essere umano, cioè dell’essere umano completo, solido, maturo, gioioso, capace di generosità, capace di stabilità, sano, significa imparare piano piano a usare tutti i mezzi che ci hanno dato i Grandi Maestri, le nostre guide spirituali, la nostra tradizione religiosa se siamo credenti; tutti gli strumenti forniti da coloro che ben prima di noi hanno raggiunto questo stato; quindi tutti i Grandi Esseri di tutte le religioni sicuramente, ma anche di tutte le filosofie, intese come scuola di vita.
Anche noi abbiamo alle spalle una tradizione spirituale non da poco: Gesù Cristo, i santi, e Socrate, Marco Aurelio, Epitteto, per parlare di grandi… Perché dunque “camminare con il Buddha”? Semplicemente perché la via del Buddha che ci dà degli strumenti per continuare a camminare sullo stesso percorso spirituale di tutti questi Grandi Esseri, articolati in maniera che riusciamo a coglierli con la nostra mente di oggi. Il cammino spirituale perso la completezza dell’essere, dunque, non è selettivo: non posso dire “io cammino con il Buddha ma non con Socrate”. Personalmente, io sono occidentale e sono orgogliosa, sono grata di avere alle spalle tutti questi Maestri; sembrerà paradossale ma li capisco meglio da quando mi sono incamminata con il Buddha.
Vediamo nel dettaglio che cosa possiamo fare per “camminare in questo sentiero con i piedi di un Buddha” dopo un suono di campana.



Parliamo di meditazione camminata. Abbiamo volutamente programmato la meditazione camminata all’aperto dopo il discorso, in modo da poter portare con noi nella pratica le cose che sentiremo nel discorso e sperimentarle. È tutta pratica, non serve a niente se resta teoria.
Sappiamo tutti che la meditazione camminata al chiuso, cioè quella che si fa nello Zendo, è diversa da quella che si fa all’aperto. Alle volte ci sfugge questa diversi differenza; la sintetizzo brevemente: nello Zendo, quella che si fa tra le sessioni di meditazione seduta, è una meditazione camminata rigorosamente mantenuta sulla corrispondenza: un passo  un atto respiratorio, quindi: inspiro/piede sinistro, espiro/piede destro.
In quel momento è quello che stiamo facendo tutti: siamo un organismo che si muove tutto intero, in cui tutti inspirano appoggiando il piede sinistro e tutti espirano appoggiando il piede destro. Sentiamo la presenza degli altri, sentiamo il sostegno del pavimento, e sentiamo la dimensione del nostro corpo, lo spazio che occupiamo.

La prima cosa che mi viene da notare è quanto poco siamo abituati a leggere il terreno con i piedi.
Spesso nella meditazione camminata nello Zendo si vedono persone camminare guardandosi i piedi. Ora, lo Zendo, per definizione, è un luogo protetto e sicuro, in cui non ci sono ostacoli per terra; come mai questa nostra tendenza a non credere alle informazioni che ci danno le nostre estremità, che pure fanno parte del nostro corpo, e ad avere bisogno di una conferma visiva? I piedi sono sicuramente lì, non c’è bisogno di controllare con lo sguardo. Anche il pavimento è sicuramente lì. [risate]
Forse dipende da due elementi: uno è che non siamo abituati per niente a camminare lentamente, e quindi è come se ci aggrappassimo a qualcosa con gli occhi per cercare di essere più stabili. Ci dimentichiamo che non saranno gli occhi ad aiutarci, in questo. L’essere umano si è messo in piedi sfidando le leggi della gravità, infatti la parte più pesante del suo corpo, la testa sta in alto. Questa è una posizione piuttosto instabile, infatti sono state necessarie molte compensazioni e molti adattamenti; sappiamo tutti quanto sia delicata la nostra struttura, con quanta facilità ci venga mal di schiena.
Quindi se non riusciamo a camminare piano senza vacillare è perché siamo abituati a camminare come se andassimo in bicicletta: di slancio. Al di sotto di una certa velocità, in bicicletta facciamo molto fatica ad andare dritti, sbandiamo, o cadiamo. Lo stesso camminando, almeno all’inizio. Il centro del nostro corpo è qui [indica la pancia], un paio di dita sotto all’ombelico, all’interno, come sanno tutti quelli che hanno fatto arti marziali, ed è il centro di gravità, oltre ad essere un centro energetico molto importante.
Essendo qui il nostro centro di gravità, gli occhi non c’entrano un granché; possiamo metterli a riposo, portare avanti il nostro centro, metterlo in contatto con il terreno tramite i piedi, e lasciar parlare i piedi. I piedi ci dicono che non ci sono ostacoli, che il terreno è liscio e uniforme.
Questa indicazione la possiamo leggere anche in senso metaforico: spesso nella pratica supponiamo o sospettiamo molti più ostacoli di quanti non ce ne siano realmente...
“La pratica è una cosa semplice”, ce lo siamo sentiti dire da Thây e da altri Maestri. È semplice – basta farla… (un ostacolino non da poco questo!).
Il pavimento dello Zendo, dicevo, è liscio; lasciamo che siano i piedi a parlare; il nostro centro di gravità si muoverà parallelamente al pavimento, cioè il centro del nostro ventre traccia una linea parallela a terra. Con questo voglio dire che occorre riportare un po’ di semplicità nel nostro avanzare sul cammino.

Camminare senza guardarci i piedi ci porta a camminare a testa alta – altra frase che ha un contenuto simbolico non da poco! Se ci pensiamo bene, in certe trasformazioni culturali si va da un eccesso all’altro; dunque per controbilanciare l’arroganza, anche la prepotenza di una certa epoca, di una certa cultura collettiva subito precedente alla nostra, ci è stato insegnato che bisogna essere umili, che bisogna guardare per terra, è bene tenere gli occhi bassi, la testa bassa.
Tenere la testa alta sarebbe dunque segno di arroganza? Ma quando mai! Tenere la testa alta significa: sono qua, tutto intero, e rivolgo lo sguardo alla realtà tutta intera, ovvero non mi guardo i piedi, che è già una limitazione, un chiudersi, un restringere il proprio orizzonte per cui si finisce per vedere solo quel metro quadrato su cui ci si sposta.
Anche qui, cogliamo il simbolismo di queste espressioni? La ristrettezza di visione, non vedere tutto quello che c’è intorno, non vedere l’intero orizzonte.
C’è un’espressione che usavo insegnando Tai Chi che mi piace molto: “Tenere gli occhi all’altezza degli occhi”. Possiamo lasciar cadere l’idea che tenere lo sguardo alto sia segno di arroganza: è una formazione mentale che ci hanno appioppato per ragioni culturali, possiamo liberarcene, e dargli semplicemente il significato di un segno di integrità, di coscienza dell’essere “in mezzo a”, dell’essere “in comune con”, dell’essere “insieme a”, di essere una manifestazione di un organismo più grande, che colgo con tutto il mio sguardo.
Ho diritto a camminare qui, in questo Zendo, su questa Terra, come ce l’hanno tutti quelli che stanno intorno a me. Testa alta e occhi aperti: la meditazione camminata, nello Zendo e fuori, si fa con gli occhi aperti, proprio per il fatto che è un’azione collettiva quanto individuale. E si fa mantenendo una certa equidistanza con chi ci precede e con chi ci segue, quindi se possibile non andando addosso a chi ci sta davanti, non facendo da “tappo” a chi ci viene dietro.

Sentiamo l’eco che queste parole fanno risuonare in noi? Sentiamo che “Non stare addosso a qualcuno” può significare anche non pretendere che vada più veloce, che vada col nostro passo, che cammini come vogliamo noi, che sia vestito, calzato come vogliamo noi, che abbia il colore delle pelle che vogliamo noi, il modo di esprimersi che vogliamo noi?
Allo stesso tempo ci viene chiesto di non frenare gli altri, non camminare a un’andatura lentissima a passi cortissimi che genera l’ingorgo nello Zendo… vediamo che come possiamo leggerlo altrimenti…“io mi faccio gli affari miei, vado come mi pare e chi sta dietro si arrangi...”
Ancora una volta, su questo cammino la nostra è la Via di mezzo; il sentiero del Buddha è la Via di Mezzo. La via di mezzo in questo caso, durante la meditazione camminata nello Zendo, contiene potenti informazioni sul nostro modo di procedere, di stare nel percorso.
Visualizziamoci un momento camminare nello Zendo e vediamo quanta importanza diamo alla meditazione seduta e quanta alla meditazione camminata. Cerchiamo di capire se riusciamo davvero a tradurre la meditazione camminata come vero e proprio atto di meditazione, o se piuttosto non tendiamo a sentirla come una pausa, un intervallo, una “ricreazione” tra due sessioni di meditazione seduta.

A questo punto possiamo portare la stessa modalità, la stessa metodologia, parlando di meditazione camminata all’aperto.
Anche all’aperto la meditazione camminata è comunque una pratica meditativa; alle volte ci viene difficile distinguere dalla “passeggiata”. Vado a fare una passeggiata o vado a fare una meditazione camminata sono due cose distinte. Alle volte ci viene difficile, fino a quando non facciamo una meditazione camminata insieme a Thây: ci rendiamo conto che lui davvero fa la meditazione camminata e che è un filo diversa da quella tendiamo a fare noi, soprattutto nei posti belli, nella natura.
Innanzitutto sappiamo che anche la meditazione camminata all’aperto consiste nello stare in collegamento con il respiro e i passi; però si fanno più passi per ogni atto respiratorio. Quando fa freddo, ad esempio, non è opportuno fare una meditazione camminata lenta, altrimenti ci si congela: si fa una meditazione camminata bella vigorosa, si possono fare quattro passi per l’inspirazione e quattro passi per l’espirazione. Oppure si può sperimentare, ci suggerisce Thây sempre in “Camminando con il Buddha”, la versione tre per l’inspirazione e quattro per l’espirazione, cioè permettere all’espirazione di essere leggermente più lunga. Questo fra l’altro favorisce alla pratica del lasciar andare, del mollare le tensioni.
Quante volte ci siamo sentiti dire: “se sei teso, se sei turbato, se sei arrabbiato, non fare niente, ma pratica la consapevolezza del respiro e la meditazione camminata.” C’è anche negli Addestramenti. In questi casi, una meditazione camminata vigorosa, di sei passi inspirando e sei passi espirando, ha un grandissimo effetto. Non solo come sfogo.
Intanto ha un effetto fisiologico perché ci ossigena.
Quando ci arrabbiamo ci si contrae tutto, ci viene un blocco allo stomaco, la gola si chiude, magari chiudiamo anche i pugni, qualcuno anche le mandibole, diventiamo una specie di bombetta compattata pronta ad esplodere… dobbiamo sfogare da qualche parte, dobbiamo far uscire questa energia da qualche parte. Camminare veloci ci fa sfogare questa energia, e allo stesso tempo ci ossigena, rimette in circolazione il nutrimento, il che ci può ridare anche la misura del dove siamo e del contesto.
A parte questa funzione, c’è anche quella di concentrarci sui passi e sul respiro farci, il che ci permette di prendere distanza dall’accaduto: dopo potrò osservare con mente più limpida, non adesso, dopo – perché adesso sarei in grado soltanto di rimuginare, accusare, inveire, sentirmi nel giusto e dare tutta la responsabilità all’altro ecc. ecc., …conosciamo tutti benissimo…

La meditazione camminata all’esterno è dunque, anch’essa, fatta di passo e respiro; sta a noi osservare il contesto e la situazione e scegliere se fare tre passi inspirando e quattro espirando, o due e due o altro; basta esserne consapevoli. È chiaro che se andiamo in salita saranno di meno perché abbiamo bisogno di più ossigeno, se andiamo in piano o in discesa faremo più passi, a seconda di come ci si sente.
Anche all’esterno il contatto col terreno su cui poggiamo è sostanziale.
All’inizio questa del contatto col terreno mi pareva una cosa un po’ mentale, un po’ “di testa. La risposta mi è venuta constatando una cosa, che ogni tanto poi negli anni mi ritrovo a richiamare alla mente: che mi fa bene, se possibile, fare la meditazione camminata con scarpe con suole molto morbide e sottili. Ovviamente sto parlando di un terreno “medio”, normale; non in un trekking in Himalaya, di certo, non in alta quota sulle Alpi. In scarpe da tennis su una morena di ghiacciaio si va solo in cerca di guai! Però su un terreno normale, la suola sottile e flessibile permette di percepire quello che c’è sotto i piedi.
Sento già l’obiezione: “…ma si sentono tutti i sassi!” . Già. Ottimo. Se cammino su un terreno sassoso è bene che io senta i sassi. È semplice contatto con la realtà.
Cos’è che ci fa male sotto i piedi? Non sono i sassi in sé, è tenere il piede rigido: in questo caso tutti i sassolini andranno a pungere gli ossicini, i tendini… e certo che fa male, caspita se fa male! Dopo dieci minuti non ne puoi più e sogni un paio di robusti scarponi con la suola alta così. Se invece il piede è rilassato, morbido, se riusciamo a posare a terra un piede soffice che si adatta a tutto ciò che si trova sotto, allora camminare diventa un piacere, sempre e su qualunque fondo. E i piedi ci mandano delle informazioni, e scopriamo di potere camminare su un terreno molto più accidentato di quanto non pensassimo. Questa è l’altra faccia della medaglia del camminare nello Zendo dove non ci sono ostacoli: nel caso della camminata esterna è opportuno guardare ogni tanto per terra per vedere eventuali ostacoli; ma sono soprattutto i piedi a darci informazioni a patto di non impedirglielo mettendo delle scarpe molto grosse, a meno di non tenerci staccati, protetti dal terreno sul quale camminiamo. Anche qui, ascoltiamo l’eco delle parole: “proteggerci dal terreno”? Entrare in contatto più diretto col terreno ci consente di leggerlo meglio, di cogliere più informazioni che passano da un via non mentale; che, ampliando il raggio percettivo del nostro essere, passano attraverso vie che tendiamo a sottovalutare: intuitive, di propriocezione, tutte quelle che noi tendiamo a mettere in secondo livello rispetto alla via puramente razionale e mentale.
Un po’ di tempo mi aveva colpito molto una frase di Rigoberta Menchu, Premio Nobel della pace del 1992, pacifista guatemalteca che si era battuta per il riconoscimento dei diritti umani nel suo Paese. Era nata e cresciuta in un villaggio, dunque sapeva cosa volesse dire camminare scalza; raccontava come per i suoi piedi fosse naturale “leggere” il terreno; poi, spiegava, “a un certo punto, da grande, sono entrata in contatto con un'altra realtà, più cittadina, e ho dovuto mettere le scarpe; ho fatto una gran fatica ad abituarmi ad andare in giro con gli occhi bendati”. Dunque mettere le scarpe era per lei come avere gli occhi bendati: un impedimento alla percezione. Possiamo tenere a mente quest’immagine quando camminiamo al’esterno. Aderire coi piedi al terreno su cui ci muoviamo ci dà molte informazioni, è come avere degli occhi sotto i piedi.
Ora all’improvviso mi viene in mente di avere visto alcune raffigurazioni del Buddha in posizione del loto con disegnati degli occhi anche sulla pianta dei piedi, non solo sul palmo delle mani com’è in genere raffigurato il bodhisattva Avalokiteshvara…

Al di là della tradizionale camminata, possiamo fare del nostro modo di camminare nella vita quotidiana un campo di visione profonda: possiamo farne un momento di osservazione che ci può dare informazioni su noi stessi. C’è una grande quantità di osservazioni che è possibile fare osservando il modo in cui camminiamo; possiamo coglierle soltanto se il nostro sguardo è perfettamente sereno e aperto, ossia se ci osserviamo con l’amorevolezza e sollecitudine con cui si guarda un bambino che ha appena fatto la conquista del primo passo. Possiamo osservare noi stessi solo se lo facciamo con questa mente benevole e aperta, altrimenti ci irrigidiamo e iniziamo a cercare scuse, giustificazioni, oppure ci vergogniamo, ci umiliamo, il che non è di nessuna utilità.
Allora, proviamo a osservarci con occhi e cuore aperto. Tendiamo a fare il passo più lungo della gamba? [esegue il passo] Notate che a un certo punto cadiamo in avanti, se abbiamo alzato la gamba di più rispetto alla reale lunghezza fisica dall’anca al tallone. Anche qui, facciamo attenzione all’informazione che ci dà il fatto in sé e l’espressione che ne è nata: “fare il passo più lungo della gamba” significa sopravvalutare i propri mezzi, le proprie forze, le proprie misure reali; oppure carenza di autoprotezioni: “posso farcela comunque”. Ed ecco le conseguenze: il peso che cade di colpo sui talloni, con conseguenti microtraumi alla colonna vertebrale; perdita della centratura.
Altra informazione – e altre conseguenze – ci dà la scoperta di fare “il passo più corto della gamba”. Proviamo a pensarci, a visualizzarlo: significa camminare trattenendosi, con prudenza, può significare una sottovalutazione delle proprie possibilità, una scarsa stima di sé. A volte vediamo quelle andature a piccoli passi affrettati, contratti, controllati – e qui c’è un desiderio di controllo, di non eccedere, di non “darsi” interamente; un “andare al risparmio”: in genere è una persona che cammina solo coi piedi, senza oscillare le braccia e senza quel il moto naturale del corpo che accompagna il passo; sono solo i piedi che si muovono, tutto il resto rimane fermo come se fosse in allerta.
Un altro tipo di passo ancora: quello che lasciare giù un’impronta forte. Avete presente, quelle andature pesanti, con il colpo del tallone. Ci si aspetta sempre “unò-dué, passooo…” e il colpo di tamburo, come nelle marce militari. (Far rumore con i piedi, per uno squadrone militare, in origine aveva la funzione era di spaventare l’avversario, di sottolineare la propria consistenza numerica e imponenza fisica… insomma di comunicare il messaggio: “siamo in tanti, e siamo forti, robusti, pesanti”.) Il passo rumoroso col colpo di tallone si ripercuote sul suo autore, si ritorce contro chi lo compie: al di la del fatto che possa impressionare o disturbare qualcuno al di fuori di lui, sicuramente disturba la sua schiena, diventa una violenza auto diretta. È come se la persona avesse bisogno di farsi vedere più forte, potente e rumorosa perché ha tanta paura…
Tutti questi esempi contemplano anche le infinite sfumature intermedie fra un eccesso e l’altro: gli esempi che faccio sono estremi e generalizzanti perché siano ben comprensibili, poi sta a ognuno di noi riportarli alle dimensioni realistiche, che sono sempre più sfumate, meno in bianco-e-nero.
Un altro esempio ancora: quello delle persone che camminano tutte inclinate in avanti potremmo dire “proiettate verso il futuro” – è il mio ritratto di qualche anno fa, e a volte ancora adesso… – . Sono le persone che camminano possibilmente di corsa, fuggendo in avanti, con la testa protesa: tutto nella testa il corpo le arranca dietro. È la preminenza della testa , il pensiero che tira; questo genera delle tensioni innaturali del collo e un po’ dappertutto nel corpo, e soprattutto …“il momento presente questo sconosciuto”: non si è di attimo in attimo sul posto in cui ci si trova ma tutti protesi verso quello che deve ancora venire, che andrà fatto, che dovrà essere eccetera eccetera…

Ecco, possiamo fare la lettura del nostro abituale modo di camminare proprio come pratica di visione profonda della; è essenziale farla sempre con grande amore, in quanto siamo su questa via per prenderci cura; e quello che ne esce possiamo poi utilizzarlo per coltivare l’antidoto – ossia il corrispettivo salutare – nella nostra meditazione camminata. Dunque imparare, allenarci a camminare a testa alta se prima la tenevamo bassa, a utilizzare tutta la lunghezza naturale del nostro passo, a stare nel qui e ora, a camminare con dolcezza accarezzando con i piedi il terreno, eccetera…
Vediamo quindi che praticando la meditazione camminata possiamo agire sull’unità mente-corpo modificandola, che la meditazione camminata non è un modo per essere solo un po’ più calmi, per godere dell’aria fresca o per fare una pausa fra una pratica e l’altra. Possiamo ampliare l’uso dello strumento della meditazione camminata.
Ascoltiamo insieme un suono di campana.



Adesso parliamo del “cammino” nel senso del percorso della nostra pratica. La pratica che abbiamo fatto ieri era una pratica di visone profonda; prima shamata, la pratica di concentrazione e acquietamento, poi eravamo invitati ad osservare la nostra pratica in alcuni ambiti, quelli relativi alle Sei Perfezioni (Paramitā), chiedendoci via via: “A che punto mi trovo rispetto alla generosità? All’apertura? Alla saggezza?” eccetera. Come detto, la condizione essenziale per una pratica di visione chiara è che sia fatta con amorevolezza e senza giudizio. Ma è un atto di valutazione, ed è per questo che sul cammino spirituale è tanto importante distinguere valutazione da giudizio. Noi tendiamo a “buttare l’acqua con tutto il bambino”… Thây continua a ricordarci che ci sono parole che sono ammalate e che hanno bisogno di essere guarite; per esempio, ai nostri giorni ci dà fastidio la parola “valutazione” perché le aggiungiamo arbitrariamente una sfumatura di “giudizio” che non le compete per forza. La valutazione è una funzione necessaria, indispensabile alla nostra vita: per esempio, se devo scegliere una scuola per mio figlio, se devo scegliere una casa, o scegliere come alimentarmi: sono tutte sane operazioni di valutazione. E non necessariamente implica un giudizio negativo: un cibo può essere ottimo in sé ma non adatto al mio organismo; una casa può essere una gran bella casa ma troppo grande o troppo piccola o troppo costosa per me, e così via. Noi utilizziamo la facoltà di valutare ogni giorno, in tutti gli ambiti; dunque se consideriamo sbagliato valutare, tutta la nostra vita nel mondo diventa un bel pasticcio. Soprattutto sul sentiero, se non abbiamo una facoltà di serena valutazione è come se ci trovassimo in una grande città con una mappa stradale in mano: dobbiamo andare in un certo posto, ma per poterlo fare dobbiamo prima sapere dove ci troviamo: il puntino rosso “voi siete qui”. Trovarsi qui invece che lì in sé non è ne bene ne male, è semplicemente un dato di fatto: è qui che mi trovo e da qui devo partire. Questa valutazione, sul cammino spirituale, è una pratica di consapevolezza. Valutare significa vedere con chiarezza a che punto mi trovo in quella specifica cosa – per esempio la conoscenza di una materia in un corso di studi o il radicamento in una determinata pratica in un percorso spirituale –; non significa giudicare il mio valore complessivo di essere umano. Per me è una distinzione davvero sostanziale. Noi tendiamo ad andare per assoluti, ovvero a categorizzare, nel modo tipicamente occidentale che ci porta a dire: “ o di qui o di là”. O bene o male; o risvegliato o un disastro. Invece posso osservare nel dettaglio e notare semplicemente, per esempio: “nella mia pratica dell’inclusività sono rimasto un po’ indietro”. Se per me questa presa d’atto implica un giudizio di valore complessivo, se mi porta a dire che come essere umano valgo qualcosa o non valgo niente, è ovvio che questa attività di visione profonda non la farò mai, o proverò fortissime resistenze a farla: una parte di me si impunterà e la eviterà con ogni mezzo. Cerchiamo quindi di guarire la nostra capacita di valutazione, perché è un’alleata, non una nemica. Esiste un equivoco generato da una tecnica adottata nel cosiddetto “pensiero positivo” di stampo New Age, quella di ripetersi: “sei perfetto così come sei”. Beh,per me è un po’ un guaio: se mi convinco di essere perfetta cosi come sono, perché mai fare un percorso spirituale? Perché dovrei spostarmi da lì? Posso mettermi comoda in poltrona, e che gli altri si arrangino, affari loro; mi sento in diritto di non prendermi cura delle parti di me che hanno bisogno di essere ampliate, allargate, sanate, rese pienamente “umane”: ogni cambiamento, ogni guarigione non è affar mio, se io sono già perfetta così come sono. È ben diverso dal prendere contatto con quello che sono in quel momento, nello specifico in relazione con questo o quell’aspetto di me, e dirmi “faccio amicizia con quello che c’è in questo momento, e a partire da qui so dove sto andando”.

Darsi una direzione di massima da darsi è una cosa; un’altra è avere obbiettivi specifici e rigidi, che per me è una cosa poco sana. Per esempio, se decido che entro tre anni avrò raggiunto il risveglio, mi sto preparando a una bella sofferenza… allora tutte le volte che mi siedo in meditazione lo farò con uno scopo, e allora penserò di continuo: “a che punto sono? Mi manca molto?”. Avete presente gli allenamenti alle olimpiadi? È riconosciuto che per essere ammesso alle olimpiadi devo rientrare in tempi specifici, che so, entro quel dato giorno aver corso almeno una volta i cento piani in almeno dieci secondi; l’obiettivo è dichiarato e misurabile e ha un limite temporale. Sul percorso spirituale non è così, e darsi degli obiettivi fissando un tempo limite è la garanzia di non andare da nessuna parte, di non arrivare a nessun risultato, perchè ogni passaggio, ogni azione verrà condizionata e forzata in quella direzione con uno scopo, il che genera un forte attaccamento a quella idea. Alla fine si mira a soddisfare il proprio attaccamento, non la propria aspirazione.


Nella geometria, la retta è la via più breve per congiungere due punti.

B
A

La realtà della fisiologia umana, invece, e della psicologia è che posso partire verso l’altro punto, poi deviare, trovare qualcosa di più interessante, poi ricordarmi in che direzione andavo, poi fare una piccola ricaduta, poi ricordarmi che volevo andare verso il punto originario e scoprire un’altra via che sembra interessante per arrivarci, ma poi vedo che mi porta troppo lontano …. il cammino dunque è caratterizzato da un moto irregolare che comunque, nel suo insieme, va nella direzione originaria:


A

questa è la nostra realtà, mentre il primo esempio rappresenta una mente dal progresso costante e omogeneo che è una pura astrazione (e che mi sembra, fra l’altro, di una noia mortale…). La cosa sostanziale è comunque sapere in che direzione vogliamo andare.
E sarà chiaro con quest’altro esempio: mettiamo che parto dal punto A, poi per strada incontro un altro stimolo che voglio approfondire, poi sono stanco e mi fermo, mi sono stufato e torno indietro, poi mi chiedo: “dove stavo andando?”




A



... capite bene che così non si va da nessuna parte. Per quanto strano ci sembri, dunque, formulare chiaramente per noi stessi la direzione in cui desideriamo andare è molto utile. La direzione, non gli obiettivi: spesso ci poniamo obiettivi precisi per poi scoprire che gli obiettivi si spostano, e che via via che li raggiungiamo sembrano perdere di valore e se ne presentano altri, e poi altri ancora, e sono tutti obiettivi mobili. E per fortuna! L’importante, torno a dire, è avere un idea della direzione altrimenti si rischia il pantano, passando da una pratica all’altra, facendo un assaggio di tutte ma tirandosi indietro nell’istante stesso in cui nasce una difficoltà. Si rischia che quando arriva la difficoltà, quando troviamo un piccolo muro da scalare, diciamo “questa via non fa per me” e decidiamo di passare a un'altra tradizione. Nella quale restiamo fino alla prossima difficoltà...

Il fatto di sapere dove si va è sostanziale perché una piccolissimo scarto di direzione iniziale poi nel tempo porta molto lontano:




La capacità di vedere dove sto andando poi mi permette di vedere, man mano, dove mi trovo: impantanato a girare in tondo, a cadere sempre nelle stesse trappole, oppure avviato direzione che mi ero augurato.
La pratica è fatta davvero di piccolissimi passi; Thây ci insegna che la pratica è fatta anche della consapevolezza con cui ci passiamo lo spazzolino sui denti la mattina lavandoceli. (Raccontava fra l’altro che da giovane al monastero non avevano spazzolini da denti, ci si pulivano i denti con uno stecchino di legno. Poi quando ha potuto cominciare a usare lo spazzolino da denti gli è sembrato un grande lusso…) Quello che ci sembra un atto estremamente automatico, scontato, che facciamo pensando ad altro, se lo facciamo in piena presenza mentale è un passo del nostro percorso spirituale.

Concludo con un’annotazione su un commento che sento dire tanto spesso, a proposito di questo o quel passaggio nel percorso spirituale: “ma è difficile!”. A che cosa serve? A me sembra solo una zavorra, qualcosa che ci appesantisce... avete presente quei bracciali, quelle cavigliere che usano gli atleti in allenamento per potenziare la forza muscolare? Spesso dicendo “è difficile” troviamo una buona ragione per non provarci nemmeno: è un escamotage che adottiamo per sentirci poi tranquilli se non ci riusciamo o se ci riusciamo a metà, per giudicarci un po’ meno male. Il che significa che siamo rimasti ancora nel giudizio, invece che nella valutazione: che ci giudichiamo e critichiamo se non riusciamo a fare questo o quel passo. Alle volte ci diciamo che è “difficile” direttamente per non provarci. Ogni cosa, a ben pensarci, è difficile: essere un bravo chirurgo è difficile, essere un bravo papà o una brava mamma è difficile; che so, progettare un aereo è difficile, cucinare bene vegano per quaranta persone è difficile, gestire un’associazione è difficile… nessuno ci aveva garantito il contrario, vero? Stare al mondo è difficile. Oppure è facile; dipende da quello che ci raccontiamo, dall’occhio con cui lo vediamo. A ben vedere, per noi che ci troviamo qui oggi, stare al mondo è anche facile, molto facile: abbiamo un tetto sopra la testa, abbiamo cibo in abbondanza, abbiamo accesso a informazioni e insegnamenti, abbiamo facilitazioni nella vita che per una grande percentuale di umanità sono impensabili. E che forse erano impensabili anche solo per i nostri padri, i nostri nonni.

Stamattina abbiamo letto il Sutra della Felicità. Il suo vero titolo in pali è Mahamangala sutta, dove maha significa “grande” e mangala significa una cosa che porta bene, “amuleto”, “portafortuna”, o anche “benedizione”. Ricordate l’inizio? “…Molti dèi e uomini sono ansiosi di sapere quali siano le più grandi benedizioni che conducono a una vita di pace e felicità. Per favore, Tathāgata, vorresti insegnarcele?” e il Buddha risponde con un elenco: dare sostegno ai propri genitori, agli amici, fare una professione che dia gioia eccetera. Avete fatto caso che questo sutra è rivolto ai laici? Perché traccia il quadro di una vita laica ampia, completa: partendo dall’accompagnarsi con le persone sagge, passa per tutte le benedizioni in campo relazionale e sociale (la capacità di dare aiuto ai cari, fare una professione che dà delle soddisfazioni); solo poi passa all’ambito spirituale – avere contatti con i monaci e le monache significa con gli insegnamenti, con il Dharma – addentrandosi via via sempre più nel Sentiero fino a realizzare le Nobili Verità e raggiungere il nirvana. Tutte queste sono benedizioni, ma in una certa progressione: non possiamo raggiungere il Nirvana se nella nostra vita c’è un ambito – che so, la relazione con i familiari – che è un disastro, un campo che non vogliamo assolutamente vedere perché ci spaventa, e allora meglio metterci su un coperchio. Per contro, magari il nirvana non lo raggiungeremo mai, eppure realizzare ognuna di queste “benedizioni” è già di per sé “la più grande felicità”.
Ecco che cosa significa vivere in profondità il momento presente: che ogni singola parte della nostra vita è la più grande benedizione e la più grande felicità. Con questo noi realizziamo le Quattro Nobili Verità. E con questo poi raggiungiamo il nirvana. Non uno, tanti nirvana. Avete presente quella definizione meravigliosa di Thây :”siamo tutti dei Buddha part-time”? il Buddha era Risvegliato a tempo pieno, ecco tutto. Noi siamo dei Buddha part-time, a tempi più o meno lunghi; si tratta solo di allungare sempre di più il tempo della buddhità, di essere sempre più capaci di vivere da vivi il momento presente.

Il nostro percorso spirituale dunque parte da ogni singolo istante; riparte da adesso, dai tre suoni di campana con cui il mio cuore si collega con ognuno di voi, in questa sala, questa mattina.


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PRATICA DEL RICOMINCIARE

Ricominciare
Con grande rispetto ci rivolgiamo a colui che ha vinto le afflizioni
e offriamo sincere parole di pentimento.
Abbiamo vissuto a lungo nella dimenticanza.
Non avendo avuto l’opportunità di incontrare il Dharma
le energie dell’abitudine ci hanno trascinato nella sofferenza.
Le nostre incapacità ci hanno fatto commettere molti errori.
A lungo siamo stati accecati dalle percezioni erronee.
Il giardino del nostro cuore è disseminato di attaccamento, odio e orgoglio.
In noi ci sono semi di uccisione, furto, condotta sessuale scorretta e menzogne.
Le nostre azioni e parole quotidiane arrecano danno.
Tutte queste azioni sbagliate sono ostacoli alla pace e alla gioia.
Ricominciamo.
[ campana ]
Sappiamo di essere stati sconsiderati,
di aver deviato dalla via della presenza mentale.
Abbiamo accumulato afflizioni e ignoranza
che tanto hanno causato avversione e dolore.
Pieni d’ansia come siamo
a volte siamo stanchi della vita.
Non comprendiamo gli altri, e questo
ci rende irascibili e rancorosi.
Prima cerchiamo di ragionare insieme, poi ci accusiamo a vicenda.
Giorno dopo giorno la sofferenza cresce, allargando la spaccatura fra di noi.
Ci sono giorni in cui non vogliamo parlarci,
non abbiamo voglia di guardarci in faccia
e creiamo formazioni interne che durano a lungo.
Ora ci rivolgiamo ai Tre Gioielli.
Riconosciamo sinceramente i nostri errori e chiniamo il capo.
[ campana ]
Sappiamo molto bene che nella nostra coscienza
sono piantati tutti i semi salutari:
semi di amore e comprensione, semi di pace e gioia.
Ma poiché non sappiamo come innaffiarli,
i buoni semi non germogliano, freschi e rigogliosi.
Continuiamo a lasciarci sommergere dal dolore
finché nella nostra vita non c’è più alcuna luce.
Quando rincorriamo una felicità lontana
la vita non diventa che l’ombra della realtà.
La nostra mente è occupata dal passato
o si preoccupa di questo e quello nel futuro.
Non riusciamo a lasciar andare la rabbia
e non diamo alcun valore ai doni preziosi della vita
che abbiamo già fra le mani,
calpestando così la vera felicità.
Mese dopo mese sprofondiamo nel dolore.
Così ora, alla presenza preziosa del Buddha,
profumata d’incenso di sandalo,
riconosciamo i nostri errori e ricominciamo.
[ campana ]

Con tutto il cuore prendiamo rifugio,
rivolgendoci ai buddha nelle dieci direzioni,
a tutti i bodhisattva, ai nobili discepoli e ai buddha da sé realizzati.
Con grande sincerità riconosciamo i nostri errori
e gli sbagli dei nostri giudizi errati.
Per favore, portate balsamo d’acqua pura
da versare sulle radici delle afflizioni.
Per favore, portate la zattera dei veri insegnamenti
che ci faccia attraversare l’oceano del dolore.
Facciamo voto di vivere una vita risvegliata,
di praticare il sorriso e il respiro consapevole
e di studiare gli insegnamenti che ci sono stati trasmessi fedelmente.
Con diligenza, vivremo in presenza mentale.
[ campana ]
Torniamo a vivere nel meraviglioso presente
per piantare buoni semi nel giardino del nostro cuore
e costruire solide basi di comprensione e amore.
Facciamo voto di addestrarci nella meditazione e nella concentrazione,
praticando l’osservazione e la comprensione profonde
per riuscire a vedere la natura di tutto ciò che è,
e liberarci così dai vincoli di nascita e morte.
Impareremo a parlare con amore, a essere affettuosi,
a prenderci cura degli altri, che sia mattino presto o tardo pomeriggio,
a portare le radici della gioia in molti luoghi,
aiutando le persone ad abbandonare il dolore;
impareremo a ricambiare con profonda gratitudine
la gentilezza di genitori, insegnanti e amici.
Con profonda fede accendiamo l’incenso del nostro cuore.
Chiediamo al Signore della Compassione di proteggerci
sul meraviglioso sentiero della pratica.
Facciamo voto di praticare con diligenza,
coltivando i frutti di questo sentiero.
[ due suoni di campana ]

FIDUCIA NELLA MENTE

Sõsan Sêng-ts'an. Terzo patriarca Chân
La Grande Via non è difficile
per coloro che non hanno preferenze.
Quando amore ed odio sono entrambi assenti
ogni cosa diviene chiara e non mascherata.
Fai tuttavia la più piccola distinzione,
e cielo e terra sono di colpo separati.
Se desideri vedere la verità
allora non trattenere opinioni pro o contro qualsiasi cosa.
Mettere ciò che ti piace in opposizione con ciò che non ti piace
è la malattia della mente.
Quando il profondo significato delle cose è incompreso
l’essenziale pace della mente è inutilmente disturbata.
La Via è perfetta come il vasto spazio
in cui nulla manca e nulla è in eccesso.
Infatti, il non vedere la vera natura delle cose
è dovuto alla nostra scelta di accettare o rifiutare
Non vivere negli impedimenti delle cose esterne,
né nelle sensazioni interne del vuoto.
Sii sereno nell'unicità delle cose
e le visioni erronee scompariranno da sole.
Quando tenti di fermare l'attività per realizzare la passività
i tuoi stessi sforzi ti colmano di attività.
Finché rimani in un estremo o nell'altro
non potrai mai conoscere l'Unicità.
Quelli che non vivono nella Via Unica
cadono nell'attività e nella passività, asserzione e rifiuto.
Negare la realtà delle cose e asserire il vuoto delle cose
è mancare la loro realtà.
Più ne parlano e pensano ad essa,
e maggiormente deviano dalla verità.
Smettendo di parlare e pensare,
non ci sarà niente che non sarete capace di conoscere.
Ritornare alla radice è trovare il significato,
ma inseguire le apparenze è fallire la sorgente.
Al momento dell’Illuminazione interiore
c'è un'andar oltre l’apparenza ed il vuoto.
I cambiamenti che sembrano accadere nel vuoto mondo
li chiamiamo reali solo a causa della nostra ignoranza.
Non cercate la verità; solamente cessate di avere opinioni.
Non rimanete nello stato dualistico, evitate accuratamente tali perseguimenti.
Se c'è anche una sola traccia di questo e quello, di giusto e sbagliato
l’essenza della Mente sarà persa nella confusione.
Anche se tutte le dualità provengono da Quello,
non rimanere attaccato neppure a quest’ Uno.
Quando la mente esiste imperturbata nella Via,
nulla al mondo potrà offendere;
e quando una cosa non può offendere più, cessa di esistere nel vecchio modo.
Quando nessun pensiero discriminante sorge,
le vecchie abitudini mentali cessano di esistere.
Quando gli oggetti del pensiero svaniscono, il soggetto pensante svanisce,
Così come quando la mente svanisce, anche gli oggetti svaniscono.
Le cose sono oggetti a causa del soggetto [la mente];
la mente è tale, a causa delle cose.
Comprendi la relatività di questi due
e la realtà di base: l'unità della vacuità.
In questo Vuoto i due sono indistinguibili
e ciascuno contiene in se stesso il mondo intero.
Se tu non discrimini fra comune ed eccellente
non sarai portato a pregiudizi ed opinioni.
Vivere [secondo] la Grande Via, non è né facile né difficile,
Ma quelli con visioni limitate, paurose e non-risolute:
più vanno veloci e più tardi arrivano,
Ed il loro attaccamento non può essere limitato;
Ed anche essere legati all'idea di illuminazione fa andare fuori strada.
Lascia solo che le cose vadano a modo loro
e non ci sarà nulla che viene o se ne andrà.
Rispetta la natura delle cose
e camminerai libero ed imperturbabile.
Quando il pensiero è imprigionato, la verità è nascosta,
perché tutto è oscuro e poco chiaro,
e la gravosa pratica di giudicare porta fastidi e stanchezza.
Che beneficio può derivarne dal fare distinzioni e separazioni?
Se desideri avanzare sulla Via Unica, non rifiutare il mondo dei sensi e delle idee.
Anzi, in realtà, accettarlo pienamente è la vera Illuminazione.
L’uomo saggio non si sforza per nessuna mèta,
l’uomo invece sciocco vi si incatena.
Questo è il Dharma unico, non molte distinzioni
sorgono dagli attaccamenti dell'ignorante.
Cercare la Mente con la mente è il più grande di tutti gli errori.
Quiete e agitazione derivano dall’illusione;
con l’illuminazione non si ha più gradimento e avversione.
Ogni dualismo proviene dalla inferente ignoranza.
[Le cose, allora] sono come sogni di fiori piantati nell'aria:
è sciocco tentare di comprenderlo.
Guadagno e perdita, giusto e sbagliato:
questi pensieri alla fine devono essere presto eliminati.
Se l'occhio mai non dorme, tutti i sogni cesseranno naturalmente.
Se la mente non fa discriminazioni,
le diecimila cose sono così come sono: di un’unica essenza.
Capire il mistero di questa unica essenza
vuol dire essere liberati da tutti gli ostacoli.
Quando tutte le cose sono ugualmente viste,
la Auto-essenza senza tempo è raggiunta.
Nessun tipo di paragoni o analogie è possibile
in questo stato senza causa e senza relazione.
Considera il movimento in cio´che sta fermo e lo stazionario in cio´che e´in moto,
e movimento e quiete scompaiono.
Quando tali dualismi cessano di esistere,
l´Unicità stessa non può esistere.
A questa finalità ultima e assoluta nessuna legge o descrizione si può applicare.
Perché la mente unificata in accordo con la Via
fa cessare del tutto le tendenze egocentriche.
I dubbi e l'irresolutezza svaniscono
e la vita nella vera fiducia è possibile.
In un sol colpo siamo liberati dalla schiavitù;
nulla si afferra a noi e noi non teniamo stretto nulla.
Tutto è vuoto, chiaro, auto-illuminante,
senza l'esercizio del potere della mente.
Qui il pensiero, il sentimento, la conoscenza
e l'immaginazione non hanno alcun valore.
In questo mondo di Vera Realtà [tathata], non c’è né il ‘sé’, né l´altro-da-sé.
Per entrare direttamente in armonia con questa realtà,
quando sorge il dubbio basta dire solo semplicemente 'non due'.
In questo 'non-due' nulla è separato, nulla escluso.
Non ha alcuna importanza quando o dove;
illuminazione significa penetrare questa verità.
E questa verità è oltre l’estensione o la diminuzione
del tempo e dello spazio;
in essa, un solo pensiero sono diecimila anni.
Vuoto qui, vuoto là, ma universo l’infinito sta sempre davanti ai tuoi occhi.
Il molto grande e il molto piccolo non hanno nessuna differenza,
perché le definizioni sono svanite e nessun limite è visto.
Così anche con l'Essere e il Non-essere.
Non sprecar tempo in dubbi ed argomenti,
che nulla hanno a che fare con questo.
Una cosa, tutte le cose:
puoi muoverti in mezzo e mescolartici, senza distinzione alcuna.
Per vivere in questa realizzazione bisogna non avere l'ansia della non-perfezione.
Per vivere in questa fiducia occorre il sentiero verso il non-dualismo,
perché il non-dualismo è una cosa sola con la mente che è fiduciosa.
Parole! Parole! La Via è oltre il linguaggio, perché in essa non c’è
nessun ieri, nessun oggi e nessun domani!

L'ETICA SENZA DOGMI - DAL RITIRO "IL PERCORSO DEL BUDDHA"

Discorso di Dharma di Thicn Nhat Hanh, dal ritiro a Plum Village (6 giugno 2009)


  • Siamo tante gocce d’acqua che si sono manifestate in molti luoghi diversi,in molti modi diversi. Adesso siamo insieme come un unico grande fiume che scorre sereno e gioioso. Questo fiume cambia continuamente, da un giorno all'altro, da un minuto all'altro,
    e non è esattamente lo stesso di poco prima.
    Il 21, quando il ritiro sarà finito, faremo ritorno nei molti luoghi ancora una volta, portando con noi, nel nostro mondo, l'energia generata praticando e vivendo insieme come un unico corpo. Qui, ora, viviamo con gioia ogni minuto, ogni secondo del nostro corpo del Sangha in continua evoluzione.
    Questo ritiro è una celebrazione, è una riunione di famiglia, è il festival del Dharma, non siamo catturati in uno schema rigido.
    Per il nostro ritiro abbiamo solo una semplice cornice, ci affidiamo con fiducia al fiume del Sangha, protetti dall'abbraccio amorevole del Sangha. Siamo liberi. Non s‘impara e si cresce solo quando ascoltiamo gli insegnamenti di Dharma o durante le pratiche formali, ma in ogni momento e in ogni situazione. Ogni cosa sorge e ritorna a questo grande fiume, il nostro corpo del Sangha. Il nostro corpo del Sangha è anche il Buddha, è il Dharma, è i tre gioielli che si manifestano per noi, proprio qui, proprio ora.
    Cosi come la nostra terra e il nostro cielo elargiscono ancora una volta su di noi il calore, la bellezza e tutti i piaceri di un inizio estate possa ognuno e tutti noi sbocciare con i fiori di loto, e sperimentare la gioia senza confini durante questo prezioso tempo insieme".
    Questo è stato scritto da uno di noi, non da Thay...
  • Buon giorno caro sangha, oggi è sabato 6 giugno dell'anno 2009, e siamo nella sala di meditazione Assemblea delle stelle, Lower Hamlet, nel nostro ritiro dei 21 giorni.
    In passato abbiamo descritto dukkha, la sofferenza, il malessere, in un modo che non è più significativo specialmente per i giovani. Abbiamo parlato di dukkha, malessere, in termini di nascita e morte, vecchiaia e malattia e cosi via... ma nascita e morte sono parte della vita, e come accettiamo la vita dobbiamo accettare la morte. Quindi nascita e morte non sono malessere. Naturalmente la nascita di un bambino implica pericolo, molti rischi, dolore... ma la nascita di un bimbo è qualcosa di meraviglioso per la madre, per il padre e per noi, ecco perché celebriamo il nostro compleanno. Buon compleanno a te! Quindi la nascita non è malessere, non è sofferenza, può essere gioia, dipende dal nostro modo di vedere.
  • Vecchiaia... ho scoperto che la vecchiaia è una cosa deliziosa, meravigliosa, siamo più calmi, andiamo più lentamente e possiamo gioire molto di più ora di quando eravamo troppo giovani. Non corriamo, ci prendiamo il nostro tempo, e assaporiamo ogni istante della nostra vita quotidiana, quindi la vecchiaia non è poi cosi male, la vecchiaia non è malessere, la vecchiaia può essere gioia.
  • Malattia... la malattia è parte della vita come la nascita e la vecchiaia. Se accettiamo la vita dobbiamo accettare anche la malattia. Quando eravamo piccoli ci ammalavamo più volte e perciò il nostro sistema immunitario si è fortificato. Se non ci ammalassimo da bambini da grandi saremmo deboli. Ammalarsi da piccoli significa apprendere come diventare più forti, è proprio perché il bambino si ammala, e si ammala così tante volte che il suo sistema immunitario diventa forte ed è perciò che la malattia è anche buona. Dobbiamo accettare tutto ciò, perché anche nella malattia c'è del bene, una sua bontà particolare, dipende da come osserviamo. Quindi la malattia non è malessere, sofferenza, possiamo ammalarci, ma non dobbiamo soffrire. La malattia è qualcosa di inevitabile,ma la sofferenza è opzionale. Puoi avere il raffreddore, ma non devi soffrire per questo! Ok, ho il raffreddore, e avere il raffreddore è normale, qualcosa che ti può accadere di tanto in tanto, per cui non devi soffrirne, anche se sei raffreddato ci sono cose che non puoi evitare, ma la sofferenza dipende da te! Quindi il dolore è qualcosa che non puoi evitare ma la sofferenza è opzionale. Puoi scegliere di soffrire o non soffrire, per cui nascita, vecchiaia e malattia sono naturali ed è possibile che tu non debba soffrire a causa loro, perché hai scelto di accettarle come parte della vita. Dipende da te. Per favore, ricorda: il dolore è inevitabile ma la sofferenza è opzionale! Puoi scegliere di non soffrire anche se stai provando dolore, anche in presenza della malattia in modo che la vita e la situazione possano essere diversi. Dipende dal tuo punto di vista.
  • Morte, anche la morte è parte della vita. Non è il nemico. Sappiamo che molte cellule del nostro corpo muoiono in ogni momento e perciò nascono nuove cellule. Quindi la morte avviene continuamente. Senza la morte la nascita non è possibile, per cui per poter accettare la vita devi accettare la morte. Immagina, se non ci fosse la morte, ci sarebbero solo persone molto vecchie che camminano così, (imita i vecchi che camminano curvi), per tutto il pianeta. [risata]
  • I bambini non potrebbero nascere. Alcuni di noi accettano la morte senza paura, come qualcosa di naturale. Se guardi più in profondità vedi che non stai morendo, stai continuando in altre forme. Quindi trasformarsi da una forma all'altra può essere qualcosa di gioioso come se tu fossi una nuvola e dovessi smettere di essere una nuvola per diventare pioggia e ti rendessi conto che essere pioggia che cade sulla terra è qualcosa di meraviglioso, quindi accetti la morte della nuvola per abbracciare la nascita della pioggia e non devi soffrirne.
    Perciò anche la morte si può accettare. Non devi soffrire a causa della morte, dipende dalla tua saggezza, dal tuo modo di vedere.
    La separazione da coloro che amiamo è sofferenza, è dukkha. Coloro ai quali eravamo attaccati, non vorremmo separarci da lui, da lei... ma se dovessero allontanarsi allora soffriamo, ma se abbiamo una profonda saggezza, se abbiamo una profonda aspirazione possiamo accettare la separazione al fine di adempiere il nostro voto, non dobbiamo soffrirne.
  • Riunione, essere costretti a vivere con chi non ami, chi odi, è sofferenza. Queste sono tutte descrizioni di dukkha, di malessere... ma se sei un bravo praticante, vedi che è una sfida, che è un'opportunità per praticare, quindi accetti lui, accetti lei e così la tua pratica cresce, il tuo amore la tua comprensione e il perdono aumentano e questo è meraviglioso ed ecco perché questo tipo di ri-unione con coloro... stare con coloro che non ti piacciono non è più qualcosa da descrivere come malessere e sofferenza. [vietnamita]
    Non ottenere ciò che vuoi, non ottenere ciò che vuoi è sofferenza, è malessere, è così che descrivevano dukkha in passato. Ovviamente se non otteniamo ciò che vogliamo soffriamo ma la verità è che qualche volta quando lo otteniamo soffriamo ancora di più!! (Risata), e dopo che l'abbiamo ottenuto non ne facciamo più tesoro. Vogliamo qualcos'altro. Questo è il vecchio modo di descrivere la sofferenza ma ora abbiamo un nuovo metodo. In qualità di insegnanti di Dharma dobbiamo renderci conto che la sofferenza del nostro tempo deve essere presentata, deve essere descritta diversamente e dobbiamo cominciare a parlare della tensione nel corpo... dello stress, questo è un tipo di malessere molto vicino a noi, dobbiamo riconoscerlo per potervi far fronte. La tensione, lo stress e il dolore nel nostro corpo.
  • Un insegnante di Dharma proprio ieri mi ha detto che oggi le persone sono talmente stressate, ecco perché ciò che apprezzano di più quando partecipano ai nostri ritiri è la pratica del rilassamento totale. Si sdraiano e hanno l'opportunità di rilassarsi e in quella posizione ricevono gli insegnamenti più facilmente, quindi offri una meditazione guidata, affinché le persone si rilassino e prendano contatto con il loro corpo, con le loro emozioni e rilascino le tensioni. Questo insegnante di Dharma ha detto che tutti hanno risposto alla pratica del rilassamento totale, alla meditazione guidata nella posizione supina, perché le persone sono così stressate, tutti hanno bisogno di riposare, di rilasciare le tensioni. Perciò quando organizzate un ritiro, il rilassamento profondo rappresenterà una parte molto importante. La meditazione guidata fatta nella posizione da supini può generare molto benessere.
  • Dentro di noi c'è violenza, c'è rabbia. La rabbia che si manifesta sottoforma di terrorismo e disperazione, l'atto del terrorismo può essere descritto come un atto di disperazione. L'atto del suicidio è un atto di disperazione. In Francia, ogni giorno, 33, 35 giovani commettono il suicidio. Nel Regno Unito sono ancora più numerosi e anche in molti altri paesi i giovani si tolgono la vita ogni giorno perché c'è tanta rabbia, c'è cosi tanta disperazione in loro e non sanno come gestirla. Questa è la vera sofferenza nella nostra società. C'è in loro molta tensione, stress, dolore, rabbia, disperazione ed ecco perché arrivano al suicidio. Dobbiamo aiutarli in qualità di insegnanti di Dharma, dobbiamo trovare il modo per aiutare i giovani in ogni paese. Le persone non commettono il suicidio quando sono povere ma quando sono disperate, arrabbiate e le persone non uccidono perché sono povere, le persone uccidono perché sono vittime della rabbia della disperazione e della violenza. Quindi, per aiutare i terroristi, per aiutarli a non essere terroristi, dobbiamo aiutarli a liberarsi dalla rabbia, dalla disperazione, dalla violenza che c'è in loro. Ucciderli non significa aiutarli.
    Famiglie sfasciate, ovunque, divorzio, famiglie distrutte. Dobbiamo essere attrezzati con un tipo di pratica e di insegnamento che possa essere utile in una tale situazione. Come aiutare una coppia a stare insieme più a lungo, come aiutare i bambini a continuare ad avere una famiglia, e a non soffrire a causa del divorzio a causa della famiglia separata.
    Terrorismo, distruzione di una vita umana, distruzione dell'ecosistema, guerra, riscaldamento globale . . . ecc.
  • Credo che la crisi economica, la recessione, la povertà, l’ingiustizia sociale, derivano tutte da questo tipo di sofferenza quindi chiamare la sofferenza, la vera sofferenza, con i suoi veri nomi, sarebbe di grande aiuto perché così sappiamo che tipo di medicina, di che tipo di nutrimento abbiamo necessità per poter affrontare il problema perché la verità sulla sofferenza, ci condurrà alla verità sulla cessazione di dukkha. Sappiamo che l'insegnamento del Buddha nella sua prima condivisione, il suo primo discorso di Dharma fu proprio sulle quattro nobili verità e la quarta verità è descritta come nobile, arya, nobile, arya è il termine sanscrito per nobile, è nobile perché ci conduce alla cessazione del malessere. La quarta verità è la via che conduce alla cessazione della sofferenza. E’ chiamata nobile via, aryamargga, il nobile percorso e in cinese significa retto, retto quindi nobile significa anche giusto e sappiamo che nobile sentiero consiste nel retto pensiero, retta visione, retta parola, retta azione, retti mezzi di sussistenza, quindi la parola retto è presente. Il termine sanscrito per retto è samyak, in pali samyak è sama. La moralità ha a che fare con ciò che è giusto e con ciò che è sbagliato. La moralità è un codice di condotta che ha autorità in materia di giusto e sbagliato. Ecco come definiamo la moralità. Un codice di comportamento che ha autorità in materia di giusto ed errato. La moralità può essere un codice ideale di condotta che noi vorremmo accettare e seguire. Vogliamo conoscere il giusto sentiero da percorrere, per evitare la sofferenza. Moralità significa anche etica. [vietnamese] è un codice di condotta che mostra il sentiero della virtù. L'etica è quella disciplina della filosofia che studia il comportamento umano distinguendolo in moralmente giusto o sbagliato. Quando il Buddha ha offerto il Nobile Ottuplice Sentiero, intendeva offrire una via per tutti noi, un percorso che conducesse alla cessazione della malessere, della sofferenza. Ma la domanda che le persone fanno è come definire qualcosa giusto, cosa intendi per giusto, cosa significa sbagliato? Quando diciamo retto pensiero, cosa intendi per retto pensiero? Tutti vogliono il giusto pensiero, ma che cos’è retto pensiero? Come devi pensare in modo che il tuo pensiero sia retto? Retta parola . . . cosa dire, quale tipo di linguaggio rende le tue parole giuste? Questa è la domanda e questo è il tema di una disciplina chiamata Etica normativa. Etica normativa, Normativa morale, dovrebbero esistere delle norme attraverso le quali giudichi che qualcosa è giusto o sbagliato. La norma è un tipo di criterio, [vietnamese] questo termine vietnamita definisce un tipo di norma attraverso la quale puoi giudicare se qualcosa è giusto o sbagliato. Perciò, quando il Buddha dice retta visione, gli chiediamo: "Caro Buddha come fai a sapere che questa visione è giusta?" Questa è la domanda fondamentale, ecco perché dobbiamo parlare delle norme, dei criteri e il primo di questi criteri che abbiamo citato è sofferenza e felicità. Tutto ciò che porta sofferenza è sbagliato, tutto ciò che può portare felicità è giusto, questo è uno dei criteri. Dukkha e sukkha. Abbiamo appena appreso sulla sofferenza che c'è differenza tra dolore e sofferenza e abbiamo detto che il dolore, se sappiamo come accettare il dolore, non dobbiamo soffrire, il dolore è inevitabile, ma la sofferenza che ne deriva è facoltativa. La separazione può essere dolorosa ma se sei animato da un forte ideale, da una forte vocazione, da una forte aspirazione, allo scopo di realizzarle accetti la separazione. Accetti di lasciare la tua famiglia, il confort della tua vita quotidiana al fine di impegnarti in un tipo di vita più dura, perché vuoi realizzare qualcosa d'importante. Ecco perché la separazione non è più dolorosa, c'è separazione, ma non c'è sofferenza.
    Quando Siddharta ha lasciato la sua casa, dovette lasciarsi indietro sua moglie, il suo bambino, la sua famiglia, tutto e accettare la dura vita di un'asceta, ma ci fu anche molto gioia in lui, perché fu capace di seguire il suo ideale, quindi, il fatto che tu soffra o meno dipende da te, dal tuo modo di vedere, dalla tua capacità di comprendere. Ecco perché la sofferenza non è una cosa semplice. Talvolta, il dolore è solo dolore, e quando sei in grado di accettare il dolore non soffri. Quindi deve esserci una qualche differenza tra dolore, mancanza di comodità e sofferenza e anche felicità. C'è differenza tra felicità e piacere?
    Perché molti di noi pensano al piacere in termini di felicità. Se ti inietti una dose di droga, eroina, dentro il tuo corpo ti senti molto felice ma tra di noi ci sono persone che non lo considerano felicità.
  • Tra di noi ci sono quelli che si sentono molto felici quando bevono molto cognac, alcol, c'è una sensazione di piacere, ma si tratta veramente di felicità? Quindi il piacere può essere diverso dalla felicità e ci sono tanti tipi di piacere che non assomigliano alla felicità ecco perché dobbiamo guardare più in profondità. Il dolore non è esattamente sofferenza, il dolore non può essere identificato come sofferenza e il piacere è qualcosa di diverso dalla felicità, il piacere non è esattamente felicità. Come l'escursionismo, se trascorri un'intera giornata a scalare, scalare, ti siedi ovunque e magari riporti qualche graffio o cose del genere e sembra che tu durante l'escursione, soffra e qualcuno potrebbe dire: "Quella persona non è saggia, è molto meglio stare a casa e guardare la TV! Guardare la TV è molto meglio che fare escursionismo". Tu che invece stai facendo l'arrampicata che ti piace tanto, quando sei in montagna pensi a quelli che stanno nel loro salotto, a guardare la TV, un programma dopo l'altro, provi pietà per loro! Quindi chi di voi due è felice? L'escursionista o colui che guarda la TV? Dipende...
    Oppure vai a scuola, ci sono quelli che vanno a scuola e lo considerano qualcosa di non piacevole. Devono andare a scuola ogni giorno e imparare cose nuove ogni giorno e soffrono ma ci sono bambini, giovani, che amano studiare! Che trovano felicità negli studi. Andare a scuola è dukkha o sukkha dipende da te! E’ molto difficile usare questo tipo di criterio per definire se andare a scuola è giusto o se è giusto non andare. Per cui questo criterio non è sufficiente per definire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
    Le Quattro Nobili Verità, il primo insegnamento di Dharma offerto dal Buddha, sembra dica che tutto ciò che conduce alla sofferenza è erroneo e tutto ciò che conduce alla cessazione della sofferenza è giusto. Dobbiamo guardare in profondità nella natura della felicità e della sofferenza per comprendere. Per questo abbiamo un altra serie di criteri chiamati 'benefici' e 'non benefici', dannosi.
    Ciò che è benefico per voi, per la vostra salute, per la vostra comprensione, per il vostro apprendimento, tutto ciò è bene. Ciò che non è benefico ciò è dannoso, è sbagliato. Quando andate a scuola e imparate, ciò è benefico, hai qualcosa che ti sostiene nell'andare a scuola, nell'apprendimento.
    Quando bevi alcol provi piacere, ma sai che bevendo troppo alcol farai del male al tuo fegato. Questa è una serie di criteri che ti possono aiutare a vedere più chiaramente. Qualsiasi cosa che fai che è salutare per il benessere del tuo corpo, va bene - inclusi i movimenti in consapevolezza. Quindi se tieni conto di ciò, mentre fai i movimenti in consapevolezza, ne gioirai. Li percepirai come sukkha, li vedrai come sukkha, felicità. Ci sono formazioni mentali descritte come benefiche, come la gioia, come la compassione, come il perdono, come la comprensione, come l'amore e tutto ciò con cui entri in contatto: i semi della compassione, della gioia e della fratellanza in te si manifestano, ti rendono felice, ti aiutano a sviluppare la tua gioia e la tua felicità. Queste sono formazioni mentali benefiche e sai che anche nelle altre persone ci sono questi tipi di formazioni mentali benefiche, ed esistono dei modi per aiutare queste persone a entrare in contatto con le loro formazioni mentali benefiche, in modo che si manifestino, in modo che quelle persone siano felici e se gli altri sono felici, ne godrai anche tu. Quindi, cosa è benefico, cosa non è benefico? Ciò che è benefico appartiene al giusto, e ciò che non è benefico appartiene allo sbagliato.
    Esiste un'altra serie di criteri chiamati mengo, sei illuso o sei risvegliato? Sei risvegliato o sei illuso? Quando la tua mente non è sgombra non sei lucido. Prendi la decisione sbagliata, fai la cosa sbagliata. Giudichi in maniera errata quando non sei sveglio quando la tua mente non è libera. Supponi di bere troppo alcol, o supponi di essere sotto l'effetto di droghe, sei annebbiato. Potresti avere delle illusioni, qualsiasi decisione tu possa prendere in quel momento non può essere giusta. Supponi di essere arrabbiato con tuo figlio, molto arrabbiato con lui. Se in quel momento la tua rabbia ti impedisce di vedere chiaramente non sei lucido e in quel momento scrivi il tuo testamento e non vuoi che tuo figlio benefici della tua eredità, se prendi la tua decisione in un momento simile la tua decisione non è giusta. Perciò non fare niente quando non sei lucido. Quando la tua mente non è limpida, aspetta fin quando sei di nuovo te stesso, fin quando sei abbastanza sveglio per prendere la tua decisione. Quindi illusione e risveglio sono anche una serie di criteri che aiuteranno a determinare cosa è giusto e sbagliato. Se decidi di vendere la tua casa, se giochi d'azzardo e perdi e in quel momento vuoi recuperare, con questo tipo di mentalità decidi di vendere la casa per avere dei soldi e continuare a scommettere, in quel momento la tua mente non è chiara, sei trascinato dalle tue emozioni. Se dovessi firmare quel contratto per vendere la tua casa per utilizzare quei soldi nel gioco d'azzardo costringeresti tua moglie e i tuoi bambini a lasciare la casa e vivere fuori. Quindi prendere la decisione in quel momento è molto pericoloso. Una decisone presa in quel momento non può essere che una decisione sbagliata, ecco perché anche questo è un criterio veramente importante. Nella tradizione buddhista viene offerto anche un altro criterio apertura o ostruzionismo, ostacolare, l'azione è aprire o sbarrare, ostruire la via. Aprire, significa fare un'eccezione. Supponi di non voler mentire, tu credi che dire le bugie è sbagliato, dire la verità è sempre bene, e dire le bugie è sempre sbagliato. Ma supponi che qualcuno stia cercando qualcun altro per ucciderlo e ti chiede se hai visto quella persona, dove si nasconde. Se dici la verità, l'altra persona verrà uccisa. Quindi se dici la verità, uccidi delle persone, ecco perché sei costretto a dire una bugia. “No, non l'ho visto”, sei motivato dalla compassione, e ti apri, autorizzi te stesso, questa è una eccezione. La moralità senza questo tipo di flessibilità, non sarebbe intelligente ecco perché aprirsi, fare un'eccezione, acconsentire è una cosa molto importante da fare. Un dottore, il medico ha il diritto di dire una bugia al paziente? Si suppone che tu debba dire la verità all'altra persona, ma ci sono tanti modi per dire la verità, se tu non dici la verità nel momento giusto, nel posto giusto, l'altra persona può morire all'istante. Ecco perché è bene scegliere il momento buono, per informarlo, cosi che possa ricevere la verità senza subire un trauma troppo forte. Perciò non dire la verità o dire la verità in modi diversi, con modi abili, è ciò che anche il medico dovrebbe imparare. A volte noi scegliamo di non dire la verità per aiutare un altro a sopravvivere, quindi non è semplice, è complicato! Ecco perché abbiamo bisogno di comprensione profonda per essere capaci di praticare l’aprire la porta facendo eccezioni, sbarrare significa che c’è qualcosa che non è una brutta cosa ma devi farlo; c’é qualcosa che per sua natura non è una brutta cosa, ma bisogna astenersi dal farlo. E' come a Plum Village, sia ai monaci che alle monache e ai laici si consiglia di navigare su internet accompagnati da una seconda persona, non solo quando vanno al mercato o alla farmacia, alla posta. Devono essere accompagnati da un'altra persona che abbiamo chiamato secondo corpo. Questa è la pratica a Plum Village. Quindi quando si naviga su internet devono essere accompagnati dal secondo corpo in modo che non ci si avventuri in una realtà che non è salutare per loro, inoltre se sei un fratello anziano anche se tutti sanno che non hai mai navigato su certi siti, per fare da esempio per i tuoi fratelli e sorelle più giovani naviga su internet sempre in presenza di un altro fratello.
    Supponi di bere un bicchiere di vino ogni settimana, ogni fine settimana. Non ti sei mai ubriacato, bere un bicchiere di vino ogni fine settimana ti fa piacere, negli ultimi tredici anni non hai subito alcun danno, non ti sei ubriacato, e ora ti viene consigliato di astenerti, di smettere completamente con l'alcol. Ti chiedi perché, non ti ha mai fatto male per niente, perché dovresti privarti di questo piacere? Una signora nel Regno Unito, mi ha detto: "Negli ultimi tredici anni ho sempre bevuto un bicchiere di vino di sabato e non mi ha mai fatto male, perché devo ricevere il quinto addestramento alla consapevolezza e smettere con il mio bicchiere di vino? E’ un mio piacere!". Le ho detto: "So che hai perfettamente ragione quando dici che non ti ha mai danneggiato. Il fatto è che i bambini ripetono sempre ciò che vedono fare ai propri genitori, se i loro genitori fumano, fumeranno anche loro, tu non hai il seme dell’alcolismo in te ma i tuoi figli potrebbero averlo.” ecco perché smettere di bere significa sostenere i vostri figli. Non per il tuo bene ma per amore dei tuoi figli.
    Questo significa ostacolare le cose negative, il lesivo che può verificarsi in futuro, ostacolare, ostruire la via. Il ministero della circolazione in Francia ha messo un annuncio in televisione che dice: "Un bicchiere va bene, tre bicchieri buongiorno danni". (In francese: Un verre ça va, trois verres, bonjour les dégâts).
    Quindi, ci si aspetta che si beva con moderazione, ma il fatto è che se non bevi il primo bicchiere, non ci sarà mai il terzo bicchiere, per cui astenersi dal prendere il primo bicchiere significa ostacolare la via, ed è per questo che esiste una pratica chiamata [Vietnamita] che significa sbarrare la via. Non vi è nulla di male a navigare su internet, magari non ti accadrà mai niente, ma per il vostro fratello più giovane, per la vostra sorella minore di Dharma, potrebbe essere dannoso. Ecco perché voi siete d’esempio.
    Ci sono persone che bevono alcolici e guidano l’auto e tornano a casa sani e salvi. Sono molto fortunati e affermano: "Ho bevuto alcool e sto bene". Sono solo fortunati. Non bere alcolici prima di guidare significa porre una barricata per non soffrire, impedire che qualcosa di nocivo possa accadere.

    Questi sono anche una serie di criteri che vengono proposti dal Vinaya, gli Addestramenti alla Consapevolezza, gli insegnamenti sugli addestramenti alla consapevolezza nel Buddhismo.
    Esiste un altra serie di criteri chiamato, [vietnamita], I Cinque Addestramenti alla Consapevolezza, I Dieci Addestramenti alla Consapevolezza che avete ricevuto, se non si infrangono restano intatti, non sono violati, ma se vengono infranti, a volte, sembra che non stai trasgredendo, ma in realtà non stai osservando la regola.
    Supponi di trovarti in un luogo dove qualcuno sta cercando di uccidere qualcun altro, tu potresti intervenire al fine di prevenire l’assassinio ma non lo fai. Anche se tu non sei l’assassino, questo è trasgredire. Stai violando il precetto perché il precetto è non uccidere. Tu non uccidi, ma permetti che avvenga l'uccisione. Noi lo chiamiamo il non intervento. Tu non intervieni ed è colpa tua. Quando ti trovi in una situazione tale si dovrebbe intervenire, non si può dire: "Beh, io non sono responsabile, non sono stato io a compiere quell’azione." ma tu eri lì e non sei intervenuto. Sei responsabile. Qualche volta siamo costretti a mentire per salvare una vita e non mentire è trasgredire. Apparentemente non mentire è la cosa giusta da fare, ma nella sostanza non mentire è sbagliato in quanto se non mentissi condanneresti a morte l’altra persona.
    Ecco perché anche questa serie di criteri sono importanti. Apparentemente sembra giusto, ma nel contenuto è sbagliato, a volte bisogna mentire, e qualche volta devi uccidere è molto difficile e l’etica applicata è un tipo di disciplina che studia quale sarà l’esito dal punto di vista morale in una specifica circostanza. Non si tratta solo di congetture, non devi solo affermare cosa è giusto o sbagliato, in situazioni particolari, bisogna mettere in atto le norme che hai stabilito.
    Parliamo della prima bomba atomica lanciata dal presidente Harry Truman, era il 6 agosto 1945, la prima bomba atomica fu sganciata su Hiroshima e 140 mila persone sono morte sul colpo. Prima che ciò accadesse il presidente Roosevelt affermò con estrema chiarezza che in guerra si deve fare del proprio meglio per non uccidere persone innocenti, per evitare di uccidere persone innocenti e anche il presidente Harry Truman disse la stessa cosa.
    Ma l'America era appena riuscita a creare le prime bombe atomiche e i consiglieri militari e politici gli suggerirono di usarle. In quel momento gli alleati erano già vittoriosi nel Pacifico, e ancora i consulenti militari e politici cercarono di persuadere il presidente Truman a usare la bomba atomica. Egli inizialmente non voleva farlo, perché era dell’avviso che non si doveva togliere la vita dei civili, quindi cercò di fare del suo meglio per evitarlo. Ma alla fine riuscirono a convincerlo a sganciare la bomba avvallando la tesi che il Giappone si sarebbe arreso dopo questa bomba, altrimenti la guerra avrebbe continuato più a lungo e molte persone sarebbero morte. Quindi se si uccide un numero di persone questo potrebbe porre fine alla guerra e risparmiare la morte di molte altre persone più tardi. Questo è quanto è stato argomentato, giusto o sbagliato, questo è uno dei casi in cui l'etica e la moralità dovrebbero essere applicate. Non è facile.
    Penso che la discussione deve essere stata molto lunga prima che la decisione venisse presa, far cadere la prima bomba atomica su Hiroshima. Il presidente Truman ha detto che dopo aver preso la sua decisione ha dormito come un bambino. Come si può dormire bene quando si sa in anticipo che 140.000 persone perderanno la vita? Forse ha trascorso talmente tante ore .ndo e discutendo, era esausto. La bomba fu sganciata il 6, il 7 il Giappone non si era arreso, l'8 il Giappone non ha ceduto, quindi c’era la tendenza a sganciare un'altra bomba. Così il 9 di Agosto è stata lanciata una seconda bomba su Nagasaki, una città più piccola, morirono 70.000 persone e sappiamo che l'effetto della bomba atomica dura a lungo, perché molte, molte persone, a causa degli effetti secondari hanno continuato a morire dopo.
    Eutanasia, controllo delle nascite, utilizzo della pillola, sono tutte circostanze in cui dobbiamo applicare la nostra comprensione dell'etica.
    E’ per questo che abbiamo bisogno dell’etica applicata, al fine di risolvere i problemi più difficili che stiamo avendo. Il problema del matrimonio tra persone gay, tra lesbiche, il diritto delle persone a morire nel modo che preferiscono, tutte queste situazioni necessitano l’etica applicata. Per questo noi come praticanti, dobbiamo pensare con chiarezza, dobbiamo praticare il guardare in profondità, dobbiamo usare la saggezza del Buddha, al fine di sviluppare un'idea molto chiara, un sentiero chiaro per noi per vivere conformemente a questa via e offrirla al mondo. Per questo ho detto che il nostro ritiro qui insieme è una sorta di meditazione collettiva. Abbiamo bisogno di respirare consapevolmente, sedere consapevolmente, riflettere consapevolmente, per generare retto pensiero, retta parola. Il vero retto pensiero, perché il vostro pensiero può essere sbagliato e voi pensate che sia un giusto pensiero. La decisione di sganciare le bombe è stato ritenuto un giusto pensare ma è giusto? Il nobile sentiero offerto dal Buddha non inizia con il giusto pensiero perché il retto pensiero deve basarsi su qualcosa per essere veramente retto e questo è la retta visione samyagdrsti e retta visione significa saggezza, prajna comprensione profonda, il risultato, il frutto della pratica di meditazione perché se pratichiamo la consapevolezza e la concentrazione è perché vogliamo avere una comprensione risvegliata e questa comprensione risvegliata, questa comprensione profonda, questa conoscenza, questa saggezza è retta visione e dovremo imparare che retta visione è l’assenza di tutte le visioni e per questo abbiamo bisogno del Sutra del Cuore un testo che recitiamo tutti i giorni e che ci fornisce tutti gli strumenti per avere la giusta comprensione chiamata giusta visione. A Plum Village usiamo dire che il retto pensiero é quello che va di pari passo con compassione e comprensione. Se un pensiero che produci non contiene in esso compassione e comprensione non è un giusto pensiero ma ciò significa che per essere un giusto pensiero deve avere la qualità della comprensione e comprensione è solo giusta comprensione. Quindi retta comprensione. La giusta visione è il fondamento di tutti i tipi di azioni. Sia che tu pensi, sia che tu parli, sia che tu agisca, tutto, se vuoi che sia retto deve essere fondato sulla giusta visione. La retta visione è il fondamento ed è per questo che per un percorso di etica globale dobbiamo offrire il meglio della tradizione buddhista, retta visione, retta comprensione la quale come impariamo nel Sutra del Cuore trascende tutti questi criteri, è il criterio assoluto che supera tutti questi cinque set di criteri (indica alla lavagna sofferenza-felicità, benefico-dannoso, risvegliato-illuso, aprire-ostacolare, integro-violato). Nel Sutra del Cuore impariamo che non c’è nascita, non c’è morte, né produzione, né distruzione, né aumento, né diminuzione e se continuiamo né retto né sbagliato, né sofferenza né felicità, né beneficio né danno e tutto questo è molto importante. Abbiamo la tendenza a credere che c’è qualcosa chiamato il bene, qualsiasi cosa accada noi pensiamo che quello è il bene, che siamo lì o non ci siamo il bene c’è sempre, che siamo vivi o già morti il bene è presente, questo è un credo è un conformarsi e può essere rappresentato da Dio o da un principio ma il bene è presente. Secondo molte religioni specialmente quelle teistiche, il mondo è stato creato da un Dio amorevole e potente, onnipotente e amorevole e l'uomo fu creato dopo che il mondo è stato creato, il mondo è stato creato come la dimora, il luogo dove gli uomini potessero vivere. E l’uomo è stato creato a immagine di Dio per essere figlio di Dio. Dio ha creato gli esseri umani con l’intelligenza, ragione, libertà e c’è uno schema, un piano un progetto di Dio e il mondo è l’arena, la piattaforma dove il piano, il programma viene realizzato e Dio è il legislatore che afferma: “Questo va bene si può fare, questo va male, non si deve fare.” e Dio rappresenta il bene. Questo è approssimativamente l'approccio religioso al problema del bene, questo è il bene, non importa cosa succede, che tu ci sia o no, questo è il bene. Che tu sia vivo o morto, questo è il bene.
    Ma negli insegnamenti buddisti le cose vengono viste in modo molto diverso. Il bene non è possibile senza il male. Il bene esiste perché esiste il male. E' come il loto e il fango, o la destra e la sinistra, o il sopra e il sotto, o il dentro e il fuori, o il soggetto e l'oggetto. Il bene e il male sono come tutto il resto, un paio come la sinistra e la destra, il soggettivo e l’oggettivo, il sopra e il sotto, e così via e se studiamo il Sutra del Cuore e l'insegnamento della Prajnaparamita vediamo che il bene e il male sono anche prodotti della nostra mente. Non è una realtà oggettiva. E'come la famosa coppia di essere e non essere. Molti di voi hanno .to i discorsi di Dharma sulla nascita e morte, e abbiamo parlato di essere e non essere. Ci sono quelli che dicono che Dio è il fondamento dell'essere, il fondamento dell'esistenza, ma l'essere è l'opposto di non essere come si può avere il concetto di essere se non si ha il concetto di non essere? Come si può avere la nozione della sinistra senza la nozione della destra? E la domanda che qualcuno ha posto è se Dio è il fondamento dell'essere chi sarà il fondamento del non essere. Quindi, identificare Dio con l'essere significa sminuire la sua grandezza, infatti Egli trascende sia l’essere che non il non essere. Essere e non essere sono idee, prodotti della nostra mente.

    Dio non può essere descritto in termini di essere e non essere e diciamo che essere o non essere, questa non è la domanda! La stessa cosa vale per il bene e il male. La nozione di bene, di bontà, nasce dal concetto del male, e la nozione di male è nata dal concetto di bontà e la realtà trascende i concetti di bene e male. E' la stessa cosa per l’idea che noi abbiamo una coscienza qui dentro e il mondo, la realtà, è qualcosa là fuori. Quindi c'è una separazione tra qui dentro e là fuori, il soggettivo e l'oggettivo che la realtà trascende e di cui si occupa l'insegnamento buddhista.


    Questo è il motivo per cui il Sutra del Cuore è così importante, l'insegnamento della vacuità, l'insegnamento dell’inter-essere, sono così importanti. Dobbiamo lentamente testimoniare e conoscere per esperienza diretta quel tipo di insegnamento in modo da avere veramente la giusta comprensione, retta visione. Una volta che abbiamo la giusta visione allora tutto sarà davvero giusto e questi sono solo mezzi, questi set di criteri sono solo strumenti, che in ultimo dobbiamo trascendere ed è per questo motivo che il sistema di etica proposto dalla tradizione buddista dovrebbe essere libero da qualsiasi dogma. Etica senza dogma perché dobbiamo essere liberi da tutti i concetti, tra cui le nozioni di bene e male, giusto e sbagliato.


    Mi ricordo l'ultima volta che eravamo in Italia, il nostro ritiro è stato così gioioso, con quasi un centinaio di bambini ed è stato anche un ritiro profondo. Anche il programma per i bambini è stato molto gioioso, c'erano molti giovani monaci e monache e giovani praticanti che si prendevano cura dei bambini.
    Mi recai in un negozio vicino e comprai un sacchetto di semi di mais, ne distribuimmo uno a ogni praticante e dissi loro: “Portalo a casa e piantalo in un vasetto e assicurati che la terra nel vasetto sia ben bagnata per permettere al seme di germogliare.” così, quando quella giovane pianta di mais germoglierà le parleremo. Ogni bambino, ogni adulto, ha ricevuto un seme ed è come per i compiti a casa, quando il fusto della piantina di mais ha due foglie possiamo rivolgerle la prima domanda: "Mia cara giovane piantina di mais ti ricordi quando eri un chicco di mais?" Attendi e .. "Mia cara giovane pianta di mais ti ricordi quando eri un seme di mais?" E forse la pianta di mais sarà sorpresa: "Io? Un seme di mais? Non ci credo!" E tu le rispondi: "., io ero lì proprio dall'inizio, ti ho portato a casa dal ritiro, ti ho messo in questo vaso, e ti ho innaffiato ogni giorno, ti ho visto germogliare e da un seme di mais sei diventata una pianta di mais. Anche se non ti piace accettarla questa è la verità." e cerchi di convincere la pianta di mais che una volta era un seme di mais.

    Puoi fare di meglio, puoi dire: "Cara pianta di mais, guarda dentro te stesso con intelligenza, puoi ancora vedere il grano, il seme di mais vivo in te non è più sottoforma di seme, ma è sempre in te , e tu sei quel seme di mais”. Anche se è difficile per la pianta di mais da accettare, ma questa è la realtà, infatti, la pianta del mais è la continuazione del seme di mais, è il seme di mais. Tu stai dicendo solo la verità, ma forse per la pianta del mais è difficile accettarlo.


    Quando avvicini un giovane e gli dici che sei la continuazione di tuo padre, tu sei tuo padre perché tuo padre è ora totalmente presente in ogni cellula del tuo corpo e questa è la verità e se hai il tempo di rifletterci su, accetterai il fatto che discendi da tuo padre, che sei la continuazione di tuo padre e tuo padre è pienamente presente in te, in ogni cellula, e qualunque cosa tu faccia tuo padre lo sta facendo con te. Quando sei arrabbiato, tuo padre si arrabbia e quando ti arrabbi con te stesso, ti arrabbi con tuo padre e quando ti arrabbi con tuo padre, ti arrabbi con te stesso. Tutte queste cose sono difficili da accettare da parte dei giovani, ma questa è la verità.



    Un giorno ricordo stavo camminando per le strade di Londra e ho visto un libro esposto in una libreria, credo che il libro era sulla psicoterapia e il titolo era: "My Mother, Myself”, (Mia madre, me stessa, Nancy Friday). Ho pensato che l'insegnamento che riportava doveva essere simile. Non ho comprato il libro, sapevo quello che doveva esserci scritto! Il Sutra del Cuore non è filosofia, non è speculazione. Il Sutra del Cuore ha a che fare con la nostra vita quotidiana reale. Pensi di essere una persona diversa da tuo padre, ma tu sei lui, sei la sua continuazione, non c'è padre, non c'è figlio, questo è il messaggio offerto dal Sutra del Cuore: non c'è padre, non c’è figlio. Non c'è nessun padre separato, non c'è nessun figlio separato, il padre è nel figlio, il figlio è nel padre. Padre e figlio inter-sono e questo è il modo di vedere dobbiamo allenarci a usare questa maniera di vedere in modo che un giorno raggiungeremo la retta visione, prajna. Il tipo di comprensione che può portarci sull'altra sponda, la sponda del non inganno. La sponda dell’illuminazione e tutto quello che facciamo, pensiamo, diciamo sarà giusto ed è per questo che la giusta visione è il fondamento di tutto ciò che potrà essere definito retto.


    Uccidere l'ecosistema significa uccidere te stesso. L'ecosistema è in te, tu sei l'ecosistema. Tu sei il pianeta, il pianeta è in te. Qualsiasi danno che fai all'ambiente, lo fai a te stesso e l'insegnamento è molto chiaro nella letteratura della Prajnaparamita, nel Sutra del Diamante s’impara che il concetto di uomo deve essere rimosso. L'uomo non può esistere senza elementi di non uomo. Se il minerale, il vegetale, l'animale non ci sono, l'uomo non può esserci. Quindi, guardando l'uomo dovremmo vedere gli elementi di uomo e non per proteggere gli elementi uomo non proteggiamo l'uomo. Sappiamo molto bene che abbiamo degli antenati, che i nostri antenati non sono solo esseri umani, perché i nostri antenati umani sono ancora molto giovani, siamo apparsi sulla terra molto tardi nella storia della vita. Abbiamo antenati animali sono ancora lì in noi, il rettile, il pesce e così via, sono ancora nel nostro sangue. Adesso noi siamo loro, non siamo stati loro solo in passato, ma continuiamo a essere loro nel momento presente. Abbiamo antenati animali, abbiamo antenati vegetali. Nei racconti Jataka,(una raccolta di oltre 500 racconti che narrano le vite anteriori del Buddha), il Buddha è stato descritto come un albero, un frutto, una roccia e infatti siamo stati, in passato, una roccia, un albero, una nuvola ma non solo nel passato. Noi continuiamo a essere una nuvola ora, ci sono un sacco di nuvole dentro di noi, tutti i giorni beviamo nuvole. Abbiamo minerali come antenati e solo guardando profondamente dentro noi stessi, vediamo che noi siamo la storia completa della vita, che noi siamo il pianeta. Prenderci cura di noi significa prendersi cura del pianeta e prendersi cura del pianeta significa prendersi cura di sé.

    Nel Sutra del Cuore s’impara che non c’è una prima nobile verità, non c’è una seconda nobile verità, non c'è una terza nobile verità, non c’è una quarta nobile verità, perché la prima è la seconda, la prima è la terza, la prima è la quarta, non vi è alcuna separazione e questa è giusta comprensione, giusta visione. Se i palestinesi capiscono questo vedrebbero che sono allo stesso tempo israeliani e se gli israeliani capiscono questo, comprenderebbero che i palestinesi sono loro stessi e fare del male, punirsi l’un l’altro non è la cosa giusta da fare. Quindi, la retta visione è molto importante, la retta comprensione è molto importante. Con la retta visione ti accorgi che la persona che stai per uccidere è te stesso. Se c'è un conflitto tra il padre e il figlio, e se padre e figlio hanno la retta visione, vedranno che sono l’un l’altro, e far soffrire l'altro è come far soffrire se stessi. Ecco perché un codice di etica, un codice di moralità, dovrebbe includere, dovrebbe rappresentare, dovrebbe esprimere quel tipo di intuizione, quella comprensione profonda di inter-essere, non dualismo. Perciò, per favore, quando condividete sul primo addestramento alla consapevolezza, non uccidere, fatelo in modo che gli altri abbiano quella intuizione, perché le persone si uccidono a vicenda proprio perché non hanno la comprensione profonda dell’inter-essere. Non vedono che la persona che stanno uccidendo è loro stessi. Dovremo presentare tutti gli addestramenti alla consapevolezza allo stesso modo, perché se consumi senza consapevolezza, stai distruggendo te stesso, stai distruggendo il pianeta e il fondamento di tutte i cinque precetti, dei cinque addestramenti è la comprensione profonda, la retta comprensione, quel tipo di visione profonda che può portarti all’altra sponda, la sponda del benessere, la cessazione del malessere e alla luce di questo dobbiamo studiare il Nobile Ottuplice Sentiero.

    Cos’è il retto pensiero? Il retto pensiero è quel modo di pensare che va di pari passo con la comprensione profonda della non dualità, della vacuità, dell’inter-essere. Per noi praticanti è possibile produrre pensieri che vanno insieme con quella comprensione profonda e i pensieri prodotti in questo modo guariranno noi stessi e il mondo perché elimineranno separazione e disperazione e i Cinque Addestramenti alla Consapevolezza non sono i cinque comandamenti provenienti da un’autorità come un Dio, ma provengono dalla nostra saggezza, dalla nostra comprensione profonda che è il risultato della nostra pratica di presenza mentale e concentrazione. Quindi la cosa migliore che possiamo offrire al mondo come praticanti, il prodotto che possiamo offrire al mondo è la comprensione profonda. Quella intuizione profonda che non è possibile senza presenza mentale e concentrazione e che ci libererà, ecco perché per vivere la nostra vita in presenza mentale e concentrazione significa continuare a produrre comprensione profonda per la nostra liberazione, per la nostra guarigione, per il nostro nutrimento e liberazione, per la liberazione, guarigione e nutrimento del mondo. Quindi, per favore, studiamo ancora il Nobile Ottuplice Sentiero e vediamo ancora il retto pensiero, retta parola, retta azione, retto sostentamento alla luce della giusta comprensione, samyagdrsti, quel tipo di visione che trascende tutte le visioni. Tutti gli insegnamenti del Buddha dovrebbero essere considerati degli strumenti e non verità assolute incluso l'insegnamento di impermanenza, non sé e inter-essere.


    Puoi essere in grado di rimuovere il concetto di permanenza, ma potresti rimanere intrappolato dalla nozione di impermanenza e l'impermanenza non aiuta, non pensare di aver ottenuto ciò che il Buddha vuole che tu raggiunga, no, non ce l’hai. Devi abbandonare la tua impermanenza. Devi essere libero non solo dal concetto di permanenza, ma anche dal concetto di impermanenza.
    Soffri perché sei catturato dal concetto di un sé, ma se rimani intrappolato nel concetto del non sé continuerai a soffrire ed è per questo che devi superare il concetto di non sé. Questo è il motivo per cui la retta visione è la rimozione di tutti i tipi di visioni, inclusa la visione di impermanenza, di non sé, di inter-essere e così via e questo è l'essenziale della Prajnaparamita.